Il mal di pancia
in maggioranza

Sulla carta, i partiti della maggioranza di governo hanno i voti per far approvare alla quarta votazione la riforma costituzionale che taglia il numero dei deputati e senatori. Senza contare che i grillini, che sono i sostenitori del «taglio alla casta», contano sul sì anche della Lega e di Fratelli d’Italia che hanno sempre votato a favore del testo, a differenza di democratici e LeU che per tre volte hanno detto «no» a quella che definivano una misura pericolosa per la democrazia.

Eppure il clima che precede la votazione di oggi pomeriggio (martedì 8 ottobre) è di grande nervosismo. Intanto perché la Lega e Fratelli d’Italia potrebbero semplicemente non partecipare al voto denunciando «un inciucio» e un «mercato delle vacche» tra Pd e M5S, e questo ridurrebbe i margini di vantaggio. E per una ragione: perché nessuno può davvero sapere come si comporteranno i deputati democratici e della sinistra radicale che per tre votazioni hanno tuonato contro «l’attacco alla democrazia» e ora si sentono dire dai loro capi che invece la riforma grillina è cosa buona e giusta.

E lo dicono perché i grillini hanno firmato proprio ieri pomeriggio un accordo scritto, chiesto da Zingaretti, che ingloba la semplice riduzione dei parlamentari in un sistema di garanzie che dovrebbero risolvere i non piccoli problemi che l’introduzione della norma porrà giustappunto al sistema rappresentativo: basti dire che intere regioni potrebbero non riuscire a mandare a Roma i loro rappresentanti.

In realtà, l’«accordo di carta» che Zingaretti ha ottenuto prevede soprattutto che prima che la riforma entri in vigore sia approvata anche la riforma elettorale. Certo è un rischio per il Pd, anzi una scommessa: oggi votano quello che vogliono i grillini e domani otterranno quello che chiedono loro. Nel frattempo passeranno dei mesi e nessuno sa cosa accadrà. Soprattutto non lo sanno i deputati semplici chiamati a votare una norma che impedirà a gran parte di loro di ambire di essere rieletti. C’è da giurare che molti si assenteranno dal voto e altri voteranno contro.

Ed ecco spiegato il perché di questo nervosismo che si avverte nelle stanze della maggioranza: i maldipancia del centrosinistra e della sinistra unita alla manovra del centrodestra potrebbero mettere a rischio il successo dell’operazione cui Di Maio lega addirittura il recupero di una propria centralità politica che si vede sfuggire di giorno in giorno, ora a causa di Conte ora per mano di Renzi. C’è da chiedersi cosa farebbe il leader politico del Movimento 5 Stelle se la riforma oggi fosse clamorosamente battuta.

Ma a parte i rischi che oggi correrà il governo in un momento così delicato – proprio mentre si litiga sulla manovra economica, sul caso degli spioni e su mille altre cose – c’è chi va ipotizzando un sottile doppio gioco di Renzi. Il quale potrebbe oggi garantire il voto favorevole dei suoi venticinque deputati alla riforma grillina, salvo poi provocare una crisi di governo al solo fine di far saltare la legislatura e impedire così alla riduzione dei parlamentari di entrare in vigore nella prossima legislatura. Infatti in caso di elezioni anticipate prima dei tempi tecnici di entrata in vigore della legge, rimarremmo con la Costituzione invariata, e i deputati rimarrebbero 630 e i senatori 315. I parlamentari di «questa» legislatura, a cominciare da chi ha scelto il piccolo partito di Renzi, avrebbero qualche possibilità in più di rivedere Montecitorio dall’interno e non dalla piazza.

Ma queste, naturalmente sono solo illazioni e sospetti dei tanti nemici del senatore semplice di Rignano.

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