Il labirinto delle guerre, l’uscita di Francesco

MONDO. Potevano odiarsi. Non lo hanno fatto. Potevano cercare vendetta. Non lo hanno fatto. Potevano armarsi e purificare il dolore con una pallottola. Non lo hanno fatto.

Hanno scelto un’altra verità e non sono caduti nella trappola del fondamentalismo sociale e politico, oggi l’unico a disposizione a buon mercato e certificato dalla geopolitica della paura, quel «vi dico io come stanno le cose», tipico di tanti boriosi, saccenti e autorefenziali. Hanno scelto Verona, l’«Arena di pace», intrecciato le mani, alzate in alto, davanti al solo leader del mondo che da anni scandaglia cuori e sfida istituzioni nel tentativo disperato di cambiare la politica globale. Uno israeliano e uno palestinese, stessa giacca grigia, stessa tristezza, stessa disperazione, stesso supplizio. Ma anche stessa determinazione a non diventare strumenti di rancore, ma simbolo e riscatto della sofferenza di due popoli. Jorge Mario Bergoglio li ha abbracciati e 12mila persone nell’Arena si sono alzate in piedi e hanno applaudito a lungo.

Vittoria del pacifismo? No, vittoria della verità, quella che nessuno ammette, quella che è la prima vittima di ogni guerra, vittoria dei pacifici, che oggi sono pochissimi. La verità è un concetto da maneggiare con estrema cura e attenzione, soprattutto in tempi di conflitto. C’è un diritto e un dovere circa la verità. Eppure la verità viene piegata agli interessi, alle politiche, alle diplomazie, al mercato. Vengono definiti «interessi prevalenti» e chi li contesta è bollato di pacifismo, accusato di non saper cogliere, appunto, la verità delle cose, il significato dei processi storici, la loro tragica ineluttabilità. Non importata se tutto ciò trasformerà coscienze e territori in detriti. La verità imposta in punta di penna e di fucile è l’unica che conta. Tutto il resto nello scacchiere del mondo è obiettivo non praticabile. Uno solo tenta di aprire strade diverse. Uno solo sa che i gesti contano più delle parole, uno solo è convinto che niente e nessuno è definitivamente perduto nel rapporto tra uomini, popoli, nazioni e Stati. Non lo sono i russi e non sono gli ucraini, non lo sono gli israeliani e non lo sono i palestinesi.

Nella Via Crucis al Colosseo nella prima Pasqua di conflitto in Ucraina aveva provato a indicare la via affidando una riflessione comune ad una ragazza ucraina e ad una russa. Sappiamo come è finita e solo perché un Papa aveva deciso di infilarsi nel dramma dei due popoli affidando a loro un messaggio per riparare alla disperazione dei loro governanti, l’uno che muove guerra, l’altro che si difende e nessuno sa come finirla. Per Gaza ha fatto la stessa cosa, schierando la Chiesa e i suoi maggiori rappresentanti in Terra Santa sul quel confine strategico dove si intrecciano politica e profezia. E la Chiesa in questi mesi, Pontefice compreso, è finito sotto il fuoco incrociato di parole pesantissime, accuse improponibili di antisemitismo, opposte polemiche e pressioni. Lui è andato per la sua strada e Verona ieri, con l’aiuto di quel movimento che il mondo giudica di folli e sulle spalle porta una bandiera arcobaleno, è riuscito nell’impresa.

L’abbraccio dell’Arena dice in buona sostanza e ineccepibilmente che oggi nel mondo c’è un peccato gravissimo e cioè non curarsi della pace. Non se ne curano le cancellerie, non se ne cura il mercato. Per la pace nessuno ha più audacia, nessuna osa, nessuno inventa, nessuno più rischia. Bergoglio ha evocato l’immagine del labirinto, icona drammatica di smarrimento e luogo della perdita di ogni orientamento. Èl’emblema del nostro mondo, dove anche nel linguaggio abbiamo perso la bussola tra assi del male, identitarismi settari, l’evocazione di deportazioni purificatrici e di nuovi muri, perimetri di ritorno della divisione scellerata tra buoni e cattivi, che dipende soltanto dal punto di vista della propria verità.

Bergoglio ieri a Verona ha chiesto a tutti, davanti a quell’abbraccio, di trovare il filo, di cercarlo furiosamente, senza alcun indugio, e di farlo insieme. Perché dal labirinto si può uscire solo così. Altrimenti sarà la morte per suicidio, ha detto il Papa con voce grave, di tutti noi e del mondo.

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