L'Editoriale / Bergamo Città
Martedì 01 Ottobre 2019
Il groviglio elettorale
tra regole
e interessi
Una sola volta gli italiani si sono appassionati alla causa della legge elettorale. È stato nei primi anni Novanta. Diedero vita allora a un travolgente moto referendario che avrebbe affossato la Prima Repubblica. I quesiti, che riuscirono a portare alle urne un numero inusitato di elettori, riguardavano la riduzione delle preferenze multiple (1991) e l’abrogazione della legge elettorale del Senato (1993). Non si deve credere con ciò che gli italiani fossero diventati all’improvviso dei patiti dell’ingegneria elettorale. Semplicemente, colsero l’occasione per dare il benservito all’odiata partitocrazia, accusata di tutti i mali, Tangentopoli in testa. Per questo optarono a furor di popolo per il maggioritario.
Da allora in poi la legge elettorale non ha più avuto pace. Tra proposte di cambiamento, finite poi nel cestino, e modifiche approvate (Mattarellum nel 1993, Porcellum nel 2005, Rosatellum nel 2017) passando per le censure della Corte Costituzionale, il nostro sistema elettorale è stato costantemente sotto i ferri del chirurgo e purtroppo la guarigione sembra ancora lontana. Ancor oggi, è proprio sul tema della riforma elettorale che è in atto tra maggioranza e opposizione e persino tra partiti della stessa coalizione lo scontro forse più rognoso e insidioso della legislatura.
A dare fuoco alle polveri è stata occasionalmente l’annunciata riduzione del numero dei parlamentari, in calendario il prossimo 7 ottobre, misura bandiera dei Cinquestelle. Meno parlamentari significa ampliamento dei collegi elettorali, e quindi necessità di metter mano, oltre che alla Costituzione (art. 138), anche alla legge elettorale per impedire distorsioni nella rappresentanza. Il clima s’è fatto incandescente, proprio perché lì s’incrociano e si scontrano le strategie dei vari partiti. Salvini, forte del 30% accreditatogli dai sondaggi, ha fatto prontamente approvare da ben otto regioni, controllate dalla Lega, la richiesta di un referendum per cancellare la quota del proporzionale e rendere così il sistema elettorale pienamente maggioritario. Prenderebbe due piccioni con una fava. Conquisterebbe insieme Palazzo Chigi e la leadership incontrastata del centrodestra, aggregando definitivamente al suo carro Forza Italia.
È proprio quel che vogliono evitare Pd e M5S. Non a caso si sono mostrati - fino a ieri - ansiosi di togliere la quota del maggioritario (37%) per rendere la legge pienamente proporzionale. Equivarrebbe a dare il benservito all’aspirante autocrate della Lega. Quest’ultimo senza il trampolino del maggioritario si ritroverebbe nell’impossibilità di agguantare la presidenza del Consiglio.
Si diceva che Pd e M5S erano ansiosi di introdurre il proporzionale solo fino a ieri. La ragione è presto detta. Nel frattempo è spuntato il pericolo contrario. È nata la nuova formazione di Renzi. Italia Viva ha bisogno del proporzionale come dell’ossigeno. Sarebbe costretta altrimenti a correre sotto l’ombrello del Pd appena lasciato. Un bel groviglio, insomma, quello della riforma elettorale, da cui non sarà facile per i partiti districarsi. Né sarà facile per i cittadini appassionarsi a una tale disputa. Non è più in circolo, come a cavallo del 1990, la suggestione di dar vita ad un nuovo inizio democratico. È in scena piuttosto un brutto spettacolo: la politica che tratta una materia così importante e così delicata, come la definizione delle regole del gioco, ne fa una semplice pedina da muovere per vincere una partita politica. Una nuova ragione per gli elettori di tenersi alla larga dalla politica. Nuova benzina all’incendio dell’antipolitica.
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