Il grillismo senza Grillo, è già senza il suo popolo

ITALIA. Ormai una stagione della nostra storia politica è davvero finita, bella o brutta che sia stata.

E non tanto perché Giuseppe Conte si è deciso a togliere a Beppe Grillo lo stipendione (300mila euro all’anno) che lui stesso gli aveva concesso per toglierselo un po’ dai piedi affidandogli un vaghissimo impegno di «comunicatore» del movimento. No, la vera fine di un’epoca che pure ha terremotato l’instabile politica del dopo Tangentopoli al crepuscolo del berlusconismo, sta nel fatto che se Grillo viene di fatto espulso dal movimento che lui e Casaleggio fondarono, ai suoi ex seguaci adoranti non importa pressoché nulla.

Sarà perché dei militanti e poi parlamentari della prima ora, intorno a Conte non è rimasto quasi nessuno (Toninelli si diverte con una radiolina da lui fondata, Fico spera che Schlein lo candidi in Campania per odio verso De Luca, di altri non si sa nulla, sono tornati nell’anonimato da cui provenivano, giusto il tempo di comprarsi a Roma un vestito grigio da deputato, buono per una legislatura), sarà perché tra i più giovani è Conte il leader che hanno conosciuto ai tempi del Covid, quando, assistito dal fido ex Grande Fratello Rocco Casalino, faceva le sue conferenze stampa fiume all’ora del telegiornale della sera parlando pressoché a tutta l’Italia angosciata dal virus.

Insomma, Grillo perde il guiderdone di 300mila euro annui ma soprattutto perde quello che fu il suo popolo, che per lui riempiva le piazze, che lo sollevava con mille braccia come fosse un calciatore o un cantante rock, che si definiva giustappunto «grillino». Finito, stop, non c’è più niente o quasi, e quel poco che c’è se lo tiene stretto l’avvocato Conte. Il quale gli dice: caro Beppe, se vuoi puoi ancora fregiarti del titolo di «garante», ma sappi che qui il padrone sono io e tu rispondi a me. Lui, Grillo, replica per le rime, va alla presentazione di un libro di Bruno Vespa e sparava zero contro l’ex avvocato del popolo, usa parole di disprezzo. A quel punto però Conte si secca, lo accusa di «controcomunicazione», addirittura di «sabotaggio» e gli toglie il pane di bocca: e quando mai si regalano trecentomila euro a uno che sega il ramo su cui sei seduto?

Quei voti che restano al M5S li drena Conte, non certo il comico genovese in pensione

Giusto gli espulsi e i transfughi, i grillini dei tempi d’oro, quelli che prima salivano sui banchi della Camera per gridare «ladri! ladri!» a chiunque non fosse dei loro e poi sono diventati (con Conte e grazie a lui) nientemeno che ministri, viceministri, sottosegretari, presidenti di commissione, presidenti della Camera e di mille organi di sottogoverno, televisione compresa, sperano che Grillo reagisca, rifondi qualcosa di suo, uno strumento di lotta anti-contiana, un po’ come Romano Prodi che fondò («competition is competition») il partitino dei democratici per dar fastidio all’odiatissimo D’Alema.

Ma non accadrà. E se anche accadesse, quei voti che restano al M5S li drena Conte, non certo il comico genovese in pensione. Posto che ci sia nel prossimo futuro ancora qualcuno disposto a votare un partito (un movimento o chissà cos’altro) che arrivò ad essere la prima

Casaleggio junior: «Tra Conte e Beppe ne rimarrà uno solo, e sarà l’unico elettore del M5S».

forza politica del Paese e che oggi è costretta a subire i sarcasmi di Casaleggio junior: «Tra Conte e Beppe ne rimarrà uno solo, e sarà l’unico elettore del M5S». Tra l’altro il figlio del co-fondatore è il legale detentore, insieme a Luigi di Maio, del simbolo e del nome: chissà cosa ne faranno. Finché Conte potrà se ne gioverà perché quello stemma qualche voto comunque lo porta sempre (un po’ come lo scudocrociato di democristiana memoria) ma un giorno, c’è da giurarsi, la disputa sulle stelle del tempo che fu finirà in tribunale per una bella disputa tra avvocati.

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