Il governo tedesco tra voto Usa e bilancio

MONDO. A Berlino si consuma il licenziamento del ministro tedesco delle finanze Christian Lindner e si sancisce la fine del governo socialdemocratico, verde e liberale di Olaf Scholz.

La rottura avviene sulle poste di bilancio. La componente liberale vuole tagliare i costi per lo stato sociale. Sul banco degli imputati il cosiddetto «Bürgergeld», il reddito di cittadinanza. Come in Italia sono molti coloro che vedono in questa misura di sostegno sociale una surrettizia incentivazione al non lavoro. Olaf Scholz non intende intaccare la ragione sociale del suo governo cioè le pensioni, il salario minimo di 12 euro all’ora, le spese per i migranti e tutto ciò che può favorire il lavoro; per contro i liberali sostengono da sempre il mondo delle piccole e medie imprese e vogliono tagli alle spese ritenute improduttive, incentivare la deburocratizzazione, ridurre i costi energetici.

Tutte cose sensate che però vanno in collisione quando l’economia è in recessione e le entrate fiscali sono in calo. Vi sarebbe una terza via ed è appellarsi allo stato di emergenza e far venir meno il vincolo del pareggio di bilancio. Una strada che il cancelliere Olaf Scholz

Vi sarebbe una terza via ed è appellarsi allo stato di emergenza e far venir meno il vincolo del pareggio di bilancio.

intende intraprendere ma che i liberali non accettano. Da qui la crisi di governo. Per decretare lo stato di necessità vi è bisogno della maggioranza assoluta in Parlamento e al momento mancano i numeri. L’obiettivo delle forze politiche è posizionarsi e alzare le proprie bandiere da sventolare agli elettori quando si andrà alle elezioni. La data peraltro è oggetto di disputa politica perché il cancelliere Scholz assieme ai suoi alleati Verdi/Bündnis 90 punta a marzo mentre le opposizioni chiedono gennaio 2025. Una campagna elettorale in pieno periodo natalizio dà già il senso dell’eccezionalità del momento.

Il detonatore della crisi: l’elezione di Donald Trump

Il vero detonatore della crisi è tuttavia la vittoria di Donald Trump. È bastato il solo dubbio di un perentorio «diktat» americano agli europei - o arrivate al 2% del Pil per la difesa altrimenti noi vi lasciamo da soli - per far saltare la già traballante coalizione di socialdemocratici, verdi e liberali. Per gli europei è un risveglio brusco dopo più di settant’anni di pace quantomeno nel

Al fronte le cose vanno male, i russi avanzano lentamente ma guadagnano terreno

Vecchio Continente. A maggior ragione per i tedeschi che di questa pace hanno fatto l’emblema della loro nuova ragione di Stato. Benessere economico e stabilità finanziaria in un mondo dove la sicurezza si riteneva a gratis. La Germania in Europa è il primo sostenitore dell’Ucraina sul piano finanziario, economico, civile e militare. La frontiera ucraina dista dal confine tedesco con la Polonia meno di 700 chilometri, per i carri armati russi neanche due giorni di marcia in un territorio piatto senza asperità. Senza un consistente deterrente militare europeo, per Putin una tentazione. Berlino è sempre stata attenta a tenersi aperta la terza via.

Con l’Occidente sí, ma strizzando l’occhio a Mosca. I gasdotti North Stream 1 e 2, sabotati e ora fuori uso, sono lì a testimoniarlo. Con Trump alla Casa Bianca, il quadro si aggrava e riarmarsi diventa una priorità. Consapevole della debolezza militare tedesca ed europea, il cancelliere quindi si premura di alzare le spese a favore dell’Ucraina. Al fronte le cose vanno male, i russi avanzano lentamente ma guadagnano terreno. Sta arrivando l’inverno, l’energia scarseggia, i bombardamenti agli impianti produttivi sono incessanti, i giovani fuggono dalla leva e la popolazione è stanca. Dal prossimo anno in Germania i giovani a partire dai 18 anni dovranno esprimersi sulla disponibilità a prestare servizio militare per almeno sei mesi.

Le elezioni americane incidono sugli equilibri politici

L’ultima volta nel 1982 hanno portato alla crisi il governo del socialdemocratico Helmut Schmidt a un anno dal giuramento di Ronald Reagan, adesso all’esecutivo Scholz non sono bastate nemmeno ventiquattr’ore.

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