L'Editoriale
Martedì 16 Luglio 2019
Il governo litiga
Scena a Salvini
Tra Lega e Cinque Stelle si vanno di nuovo intensificando i motivi di rottura: dal caso Mosca e alla manovra economica 2020, Salvini e il duo Conte-DiMaio sembrano sull’orlo di una clamorosa rottura. C’è un però: questa rottura non può portare alla caduta del governo e a immediate elezioni anticipate in settembre.
La «finestra» per votare prima dell’apertura della sessione di Bilancio sta infatti per chiudersi, e se il governo Conte cadesse oltre la data del 20 luglio, se ne dovrebbe fare subito dopo un altro, e sarebbe fatalmente un governo «tecnico», con il compito di varare una finanziaria (probabilmente di lacrime e sangue, altro che abbassamento delle tasse) e poi portarci alle urne in primavera.
In questo modo Salvini e Di Maio scenderebbero dal cavallo bianco del potere senza alcuna garanzia per il futuro: è dunque interesse di entrambi rimanere in sella, soprattutto dei grillini che sanno benissimo cosa li attende dopo un voto popolare. Dunque, per quanto litighino, i due partiti e i due leader sembrano costretti a stare ancora insieme. Però ormai la convivenza è diventata davvero insopportabile: «nec tecum, nec sine te vivere possum», verrebbe da dire.
E il caso Savoini-Mosca, ossia la presunta trattativa per un ventilato finanziamento illecito alla Lega mediante la compravendita di petrolio russo, ha fatto esplodere le moltissime contraddizioni insite nel rapporto politico e personale tra i tre personaggi al vertice del governo e della maggioranza. Più Conte e Di Maio spingono Salvini ad andare a spiegarsi in Parlamento per dare la sua versione dei fatti, più Salvini punta i piedi e si trincera dietro una linea di difesa assai faticosa da mantenere: «Non conoscevo Savoini, non so cosa lui combinasse a Mosca, mai preso un rublo dai russi, dunque non ho niente da spiegare a chicchessia: occupiamoci di cose serie…». Tutti capiscono che Di Maio e soci, in evidente difficoltà elettorale, si aggrappano a queste circostanze opache per recuperare terreno e indebolire l’avversario, i cui sondaggi elettorali sono tuttora altissimi e fanno veleggiare la Lega verso il 37%.
I 5S fanno questo tentativo in consonanza tacita con i piddini di Zingaretti: entrambi vogliono un dibattito parlamentare per inchiodare il ministro dell’Interno, entrambi reclamano una commissione di inchiesta che metta la Lega sul banco degli accusati. Però Salvini reagisce al tentativo di tenaglia Pd-5S (la promessa di una futura intesa anti-sovranista?) prendendosi clamorosamente la scena della manovra economica, convocando ben 42 sigle sindacali di lavoratori e datori di lavoro e ricevendone i rappresentanti addirittura al Viminale e a fianco dell’ex sottosegretario Siri, le cui dimissioni dal governo sono state reclamate a gran voce dai grillini. È stato Conte il primo a scattare: «Mossa scorretta» ha esclamato «la manovra si fa a Palazzo Chigi, la decido io». Poi Di Maio è arrivato ad accusare direttamente i sindacati: «Trattate con Siri? Con voi ci comporteremo di conseguenza» ha detto minacciosamente.
Insomma è vera burrasca. Sotto la quale si intravede però il lavorio di tessitura di una rete che tenta di intrappolare il capo leghista giunto al massimo del suo potere: le registrazioni moscovite che emergono misteriosamente dopo nove mesi, le mosse in parallelo di Di Maio e Zingaretti, l’isolamento verso cui la Lega viene sospinta in Europa: nessun uomo di Salvini finora ha conquistato un solo strapuntino a Bruxelles mentre i grillini, orfani persino di un gruppo parlamentare autonomo, vengono corteggiati e presi considerazione. Dal neo presidente piddino dell’Europarlamento Sassoli, non a caso, arrivano parole che auspicano il dialogo «con chi è lontano da noi e persino con chi ci ha tante volte insultato». Più chiaro di così…
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