Il governo in equilibrio senza opposizione

Il commento. È del tutto evidente che Giorgia Meloni non ha alcuna intenzione di portare fino in fondo la sfida alla Banca d’Italia e a ciò che essa rappresenta, in Italia e in Europa (Bce). Al vertice di Tirana, dove la presidente del Consiglio si è distinta per attivismo, lei ha pronunciato la parola di pace: «La Banca d’Italia non ha fatto critiche sostanziali alla manovra ma solo su alcuni punti», sui quali è già chiaro che il governo è pronto alle modifiche in Parlamento.

Cancellato così lo sprezzante e imprudente giudizio del sottosegretario considerato forse un po’ affrettatamente il «Dottor Sottile» della Meloni («La Banca d’Italia rappresenta il punto di vista delle banche»), si rientra sui binari dell’ordinarietà «draghiana», quella in base alla quale Giorgia Meloni si sta conquistando la necessaria credibilità in Europa e che evidentemente non si può abbandonare se non a costi molto alti che verrebbero rapidamente portati in cassa. Se però Palazzo Chigi è disposto a rivedere o a limare le decisioni sul tetto al contante e sull’uso del Pos in modo tale da non ricevere una seconda e più pesante rampogna dalla Commissione europea, è pur vero che quelle decisioni prese all’impronta, in modo barricadero, rispecchiano la volontà di una buona parte dell’elettorato di centrodestra, dei gruppi parlamentari e in particolare di un partito, la Lega, il cui leader in questo momento ha un grande bisogno di rilancio, visibilità mediatica, riconosciuta centralità politica per affrontare il conflitto interno che si è ormai di fatto aperto e che potrebbe scatenarsi all’indomani delle elezioni in Lombardia.

Ecco, la Meloni per rassicurare via Nazionale e Francoforte è costretta a scontentare almeno in parte il suo inquieto e ingombrante alleato Salvini. Riuscirà in questa operazione di delicatissimo equilibrio? Tajani invoca «una flessibilità non clamorosa», insomma cercare di cambiare qualche cosa dell’agenda Draghi senza suscitare troppe reazioni contrarie, lavorare dunque sottotraccia. Ma questo è esattamente il contrario di cui ha necessità Salvini che va in affanno se rimane senza il clamore, ieri sugli immigrati oggi sul Pos «usato dai rompiscatole». E non è detto che un certo rumore non sia invocato anche da Forza Italia sui suoi temi elettorali, dal momento che il partito di Berlusconi subisce ogni giorno l’assalto dei reclutatori del Terzo polo, determinatissimi a raccogliere eletti ed elettori che furono azzurri e che oggi si sentono smarriti e privi di guida.

Giorgia Meloni è molto determinata nel guidare questa composita maggioranza cercando di non farsi troppi nemici potenti, e anche di rassicurare Mattarella che guarda dall’alto ma non da lontano ciò che accade sulla scena politica. Non a caso ieri la presidente del Consiglio ha detto: «Ha ragione il Capo dello Stato nel richiamarci all’attuazione del Pnrr, ma questo è il lavoro cui il governo si sta dedicando indefessamente». Da notare che Meloni e i suoi avevano attribuito al governo Draghi un certo ritardo nel varare le norme attuative del Piano senza le quali l’Italia rischia di non ricevere la prossima rata del finanziamento/sussidio straordinario. Il Colle va tenuto d’occhio costantemente, a Palazzo Chigi lo sanno benissimo e non vogliono correre rischi. Gli unici, peraltro, se consideriamo lo stato in cui si trova l’opposizione (anzi in cui si trovano «le» opposizioni): il Pd è come se fosse nella terra di nessuno in attesa che qualcuno lo guidi da qualche parte mentre il M5S è impegnato soprattutto a rubargli voti.

La stessa operazione, come dicevamo, che Renzi e Calenda stanno conducendo ai danni di Berlusconi. Il risultato finale è che l’opposizione ora non costituisce un pericolo per il governo: ah, se non ci fossero quei benedetti « poteri forti»!

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