L'Editoriale
Mercoledì 04 Dicembre 2019
Il governo balla
Anzi traballa
La maggioranza di governo si sta sgretolando. La partita sul Mes ha fatto da detonatore a tensioni e giochi tattici che covavano da tempo e che adesso sono esplosi. Sono lontanissimi i tempi in cui il Pd proponeva una «alleanza strategica» tra la sinistra democratica e quella grillina. Dopo la sconfitta umbra non se ne è parlato più, ma adesso non la si può nemmeno evocare perché i grillini amici di Di Maio si fanno venire le convulsioni.
Il chiarissimo sintomo di uno sgretolamento politico consiste nel moltiplicarsi di sospetti su chi voglia rompere l’alleanza. Sarà Di Maio che gioca al massacro? Sarà il PD che non ne può più dei grillini? Sarà Conte che per qualche misterioso motivo alza la posta? Ognuno getta la palla nel campo dell’avversario. Ognuno cerca di coprire il proprio gioco con quello dell’altro. Messa così, la situazione non può che rotolare verso il nulla. Anche perché al governo, con la polemica sul Mes, è venuto meno l’unico collante politico che non fosse l’anti-salvinismo. Questo collante era l’eurofedeltà.
Il Conte II è figlio del voto dei grillini a favore della commissione Von der Leyen, dell’accordo su Davide Sassoli (Pd) alla presidenza del Parlamento europeo e su Paolo Gentiloni (sempre Pd) alla poltrona di commissario all’Economia. Ed è figlio nello stesso tempo del «no» di Salvini alla medesima Commissione, voto che ha isolato i leghisti italiani nel parlamento europeo persino rispetto all’ungherese Orban (che infatti, furbescamente, ha votato a favore di Ursula come gli altri soci del Ppe).
Quando l’alleanza giallo-rossa si è costituita e al ministero dell’Economia è stato messo l’iper-europeista Roberto Gualtieri come garanzia per Bruxelles, subito sono piovuti dall’alto segnali concilianti sui nostri conti pubblici: dal primo momento si è saputo che, a certe condizioni, Palais Berlaymont non avrebbe fatto una piega alla nostra manovra economica 2020 concedendo quanto basta di flessibilità, la stessa che era stata rifiutata agli «eversori» giallo-verdi ( i grillini hanno recitato posizioni diverse nelle due partite, a seconda dell’alleato che avevano accanto).
In questo contesto minacciare di rompere, come ha fatto Di Maio, proprio sulla riforma del Salva-Stati già virtualmente firmata da Conte, schierandosi contro tutti i partner è stato un modo per mettere in discussione il significato «euro-fedele» del governo. Zingaretti e Gentiloni su questo non potevano e non possono piegarsi. E Conte con loro, quasi costituendo un asse di «responsabili» certamente collegato al Quirinale. Non sarà un caso che ormai Di Maio tratti il presidente del Consiglio nella migliore delle ipotesi come un estraneo, nella peggiore come un nemico. E lo sospetti, oltretutto, di qualche torbida manovra per far saltare il governo orchestrata a Bruxelles per chissà quale ragione (per far vincere Salvini alle elezioni? Improbabile…). Ma è poi Conte a sospettare che Di Maio voglia provocare la crisi di governo e andare alle elezioni sull’onda dello «spirito originario», quello del «Vaffa» per intenderci, e provare a resistere nelle urne al disastro che i sondaggi annunciano. Un modo per tenersi il bastone del comando tornando ad allacciare i buoni rapporti con Di Battista, da sempre contrario alle alleanze, con la Lega o il Pd poco importa. Ma non è nemmeno escluso che sia Zingaretti tentato di provocare una rottura (magari sulla riforma della prescrizione) anziché farsi trascinare dai grillini una discesa pericolosissima, fatta di discredito europeo e di crisi finanziaria (lo spread è tornato a crescere). In fondo il Pd ha meno da perdere: come minimo prende il 20 per cento, più di Renzi nel 2018, e – se le sardine si muovono - magari migliora anche di qualche punto.
Si tratta solo di aspettare per capire le vere intenzioni di questo o di quello. Se il 10 dicembre, nel dibattito alla vigilia del Consiglio europeo che dovrebbe approvare il Mes, Di Maio presenterà da solo una mozione contraria al Trattato, scoppierà la bomba. Che però potrebbe esplodere anche prima se Zingaretti decidesse di smarcarsi dalla riforma del Guardasigilli grillino Bonafede sulla prescrizione, e presentasse una propria proposta…
Come si vede, la strada è cosparsa non da una, ma da chili di bucce di banana.
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