Il G7 e la Cina: la sicurezza economica ci riguarda

MONDO. Da un foro di dialogo informale come il G7 – che riunisce i leader (o i ministri) di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Canada e Giappone – sarebbe sbagliato attendersi decisioni concrete e immediatamente applicabili.

L’importanza di simili incontri, e dunque del summit tra i sette capi di Governo a Hiroshima in Giappone, va valutata piuttosto in base alla scelta dei temi affrontati, alle parole e agli interlocutori con cui gli stessi argomenti sono trattati, in base – in definitiva – all’agenda e alle priorità politiche che si tenta di stabilire per l’immediato futuro. Secondo questi criteri, l’ultimo incontro tra i leader delle sette democrazie offre almeno tre diversi livelli di lettura, tutti e tre con profonde implicazioni per il nostro Paese.

In prima battuta, nei documenti finali del vertice risalta il sostegno dato dalle sette grandi democrazie del pianeta all’Ucraina contro l’invasione russa. Un sostegno ulteriormente rafforzato sia dal punto di vista simbolico, con la scelta del presidente ucraino Zelensky di essere in Giappone assieme ai sette leader, sia dal punto di vista economico, con un apparato di sanzioni contro Mosca in continua evoluzione, e infine dal punto di vista diplomatico con un appello corale alla Cina a fare pressione su Putin affinché ponga fine all’aggressione militare.

Il riferimento esplicito al ruolo della Cina non è casuale e ci porta al secondo possibile livello di lettura delle conclusioni del summit.

Pechino viene di fatto richiamata a un atteggiamento più responsabile e cooperativo su vari fronti: la «militarizzazione» del mar cinese meridionale, le tensioni crescenti con l’isola di Taiwan, il rispetto dei diritti umani all’interno dei suoi confini, la «coercizione economica» a cui ha fatto ricorso nei rapporti internazionali con altri Stati sovrani (a partire da Lituania e Australia, per citare i casi evocati pubblicamente da parte di alcuni diplomatici). Come notato da numerosi analisti internazionali, in un comunicato finale del G7 non erano mai stati utilizzati toni critici tanto netti nei confronti della Repubblica popolare cinese. Una scelta dettata dalla consapevolezza che, al di là degli aspetti contingenti legati alla crisi ucraina, nel medio periodo i rischi maggiori per un ordine multilaterale il più possibile libero e giusto discenderanno da un atteggiamento troppo assertivo della seconda potenza economica del pianeta.

Il terzo livello di lettura delle conclusioni del summit di Hiroshima ha a che fare proprio con l’economia. Nel comunicato finale, viene rimarcato infatti l’obiettivo di garantire la «sicurezza economica» dei Paesi del G7.

L’espressione «sicurezza economica» è particolarmente cara al Paese ospite, il Giappone, che al tema ha dedicato un intero capitolo della sua recente «Strategia di sicurezza nazionale», la prima pubblicata da dieci anni a questa parte. È qui che si legge, tra l’altro, che Tokyo intende «ridurre la propria eccessiva dipendenza da singoli Paesi, promuovere il rafforzamento in termini di capitale delle imprese private sul fronte delle tecnologie e dei beni critici».

La «sicurezza economica», secondo i leader del G7, si declina infatti nella costruzione di catene del valore sicure e affidabili per la nostra industria, nella diversificazione delle fonti di approvvigionamento di materie prime energetiche e minerali critici per la transizione ecologica, nel sostegno allo sviluppo «autoctono» di tecnologie di frontiera come per esempio i semiconduttori. La politica e la classe dirigente del nostro Paese dovrebbero responsabilmente imporsi l’attuazione di questi obiettivi. Senza standard minimi di sicurezza economica, da adesso in poi, sarà più difficile realizzare qualsiasi forma sostenibile di crescita economica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA