Il G20 di Bali tra assenze e alleanze in divenire

Da anni un vertice del G20 non era così atteso. La ragione è semplice: troppe sono le bufere in corso sulle relazioni internazionali, tanto che si rischia persino un conflitto nucleare.

A Bali manca l’ospite più atteso, Vladimir Putin, che è rappresentato dal suo ministro degli Esteri, Serghej Lavrov. Potrebbe, al contrario, arrivare di persona il suo contendente, l’ucraino Zelensky, che - per la prima volta dal 24 febbraio – uscirebbe dal suo Paese, anche se le smentite al riguardo fioccano. Stando ad indiscrezioni moscovite, il capo del Cremlino, ormai isolato a livello internazionale, dovrebbe comunque collegarsi in teleconferenza coi colleghi leader in determinate sezioni dei lavori indonesiani e, chissà – a questo punto (lo pensiamo noi) -, non è nemmeno da escludere che non venga pure organizzato, in gran segreto, un contatto virtuale con Volodymyr Zelensky.

Non dimentichiamo che il primo «faccia a faccia» tra Putin e Donald Trump - appena diventato presidente e accusato dai democratici Usa di essere stato eletto grazie all’aiuto russo – avvenne «per caso» in una toilette a margine di un vertice internazionale. Di tale incontro «fortuito», la cui durata rimane sconosciuta, si è avuta notizia con un paio di anni di ritardo e tra mille smentite.Il forfait di Putin è dovuto al «no» dell’americano Biden ad incontrarlo, all’indigesta ritirata da Kherson, ai rischi di un viaggio all’estero e alla necessità di evitare una situazione imbarazzante come nel 2014 a Brisbane, quando il presidente russo venne accuratamente evitato dai colleghi occidentali, irritati per l’annessione della Crimea, dopo lo scoppio della questione ucraina, e per la presenza di navi da guerra di Mosca davanti alle coste australiane.

La crisi diplomatica russo-occidentale sta avendo, invece, indirettamente effetti positivi sui rapporti sino-americani. Dopo il Congresso del Partito Comunista di ottobre, in cui Xi Jinping ha visto rinnovati i propri mandati, il leader cinese ha di molto ammorbidito i toni nazionalisti anti-occidentali, leggasi questione di Taiwan. Anzi ha offerto a Washington disponibilità per ragionare insieme su come avere relazioni politico-commerciali proficue per entrambi i Paesi.

Pechino è rimasta sorpresa dalla comune e feroce reazione occidentale contro la Russia e non intende mettere a rischio i vantaggi economico-industriali, ottenuti con questa globalizzazione. E per mostrare i suoi buoni intendimenti, da quanto si apprende, Xi potrebbe intervenire in prima persona sulla Corea del Nord, che è tornata da qualche settimana a sparare missili verso il Giappone, provocando preoccupazione in tutta l’area del Pacifico. Xi Jinping e Joe Biden - rafforzato quest’ultimo dall’esito non così negativo (come nelle attese del voto elettorale) del midterms e dal successo nella scelta di rispondere al Cremlino a muso duro in Ucraina – hanno già avuto un primo mini-summit a margine del vertice e hanno tentato di impostare relazioni meno tese, disegnando le classiche «linee rosse» su questioni per loro strategiche. E se, alla fine tutto andasse per il meglio, l’asse spauracchio Mosca-Pechino in funzione anti-occidentale – sognato dal Cremlino –, a questo punto, potrebbe ridimensionarsi.

In ultimo: Giorgia Meloni è a Bali a stretto contatto con il francese Macron. In un momento come questo, in cui serve costruire maggioranze dinamiche con altri Stati per riformare l’Ue e rispondere alle attuali sfide, sarebbe saggio tentare di chiarirsi con Parigi, altrimenti il rischio di finire isolati si avvicina. Chiedere per informazioni all’ungherese Orban.

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