Il futuro della Russia, tre scenari inquietanti

IL COMMENTO. Con la rivolta di sabato scorso sono iniziati i mal di pancia russi per la comunità internazionale. E adesso che cosa succederà in un Paese con migliaia di bombe atomiche? In un Paese in cui lo Stato ha perso il monopolio della forza e si è rotta la catena di comando? Purtroppo è accaduto quello che alcuni specialisti «Cassandre» - tra i quali chi scrive - temevano fin dalla primavera 2014, quando si è improvvidamente scoperchiato con spirito revanscista il vaso di Pandora, dando il via alla tragedia ucraina e allo scontro con l’Occidente.

Al momento il boomerang, scagliato contro Kiev, sta tornando indietro a Mosca. Osservare Vladimir Putin che rendeva ieri omaggio sulla piazza del Cremlino alle unità del ministero degli Interni e dell’Fsb (l’ex Kgb), rimastegli vicine durante la rivolta, fa capire la gravità della crisi del «sabato nero» con i jet degli oligarchi, alzatisi di colpo in volo, e le forze armate piombate in un limbo incomprensibile. Continuando a non comprendere che tipo di potere verticale abbia costruito il presidente e ubriacato dalle fake news prodotte in questi anni in quantità industriali dalle «fabbriche dei troll» di Prigozhin (il fedelissimo a cui il capo del Cremlino affidava incarichi delicati), l’Occidente impaurito si domanda adesso se Putin oggi sia più debole.

Le sirene d’allarme semmai dovevano suonare ben prima, quando la Costituzione eltsiniana è stata emendata, quando le elezioni non hanno rispettato gli standard internazionali, quando le istituzioni sono state svuotate del loro naturale bilanciamento e il vincolo dei due mandati presidenziali è stato aggirato, quando la società civile è stata annichilita dalla propaganda.

Primo scenario, il peggiore: la «somalizzazione» della Russia. In un Paese, scopertosi pieno di compagnie militari private, non è da escludere che qualche altro «Signore» possa ammutinarsi e prendere il potere, oppure occupare intere regioni o province. Contro la Wagner di Prigozhin - la quale, ha ammesso ieri lo stesso Putin, era una costola super finanziata dallo Stato - era stata mobilitata sabato la «Akhmad» cecena di Kadyrov.

Secondo scenario, golpe militare. Sullo sfondo al momento non si vedono generali carismatici in grado di coagulare attorno a sé il sostegno delle forze armate, ma l’esito della controffensiva ucraina potrebbe essere decisivo anche per il fronte interno russo. Nel «sabato nero» il Consiglio di sicurezza della Federazione - il vero direttorio del Paese - è apparso stranamente silenzioso, segno che più di uno dei suoi membri probabilmente condivideva le critiche al ministro delle Difesa Shojgu e al capo di Stato maggiore Gerasimov, causa dichiarata della rivolta della Wagner. È proprio quel silenzio che deve far riflettere Putin, l’unico finora ad essere in grado di bilanciare i vari clan.

Terzo scenario: forzata normalizzazione fino alle presidenziali del marzo 2024. Putin non prende mai certe decisioni sotto pressione: apporterà forse qualche correttivo. Poi cambierà l’Esecutivo. Il problema è che, dopo aver perso il monopolio della forza, lunedì ha visto compromesso anche quello della «narrativa ufficiale». Il presidente ha dovuto rispondere di corsa alla versione dell’accaduto data dall’«esiliato» Prigozhin, che usa un linguaggio patriottico - assai ascoltato dalla società federale - e non se ne starà zitto in Bielorussia.

Già nel ‘500 Ivan il Terribile fu costretto a confrontarsi con un «picconatore», il principe Kurbskij. La storia pare ripetersi. Un’ultima domanda: ma il popolo russo che fine ha fatto? E che cosa vuole realmente?

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