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MONDO. Il 18 aprile JD Vance sarà a Roma. Il vice presidente americano conta sulla vicinanza ideologica di Giorgia Meloni per indurre il governo italiano a rompere il fronte europeo anti dazi.
L’Italia non ha margini di trattativa al di fuori dell’Unione Europea. I vincoli giuridici sono troppo stringenti. Quello che interessa è il messaggio politico: è disposta l’Italia per amore del suo alleato americano a seguire una via autonoma che la smarchi dall’Ue? I dubbi vengono anche dal fatto che il vice presidente del consiglio Matteo Salvini si muove in quella direzione. Al congresso di Firenze il segretario della Lega ha invitato in video conferenza Elon Musk.
Da quando il progetto «Starlink» è stato messo in sordina, i rapporti fra il primo ministro italiano e il miliardario statunitense si sono raffreddati. Un contratto per la fornitura di un sistema criptato per i servizi internet del governo italiano e tutte le comunicazioni militari praticamente consegna ad un privato, per di più straniero, tutte le informazioni sensibili. Adesso Salvini fa riemergere il discusso miliardario amico di Trump e gli offre una tribuna mediatica al congresso di un partito di governo. Un Paese fondatore dell’Unione Europea che fa il salto della quaglia farebbe contenti Washington e forse alcuni anche in Italia.
La politica di Trump ha creato una cesura, ha posto fine all’idea collettiva di Occidente e ha giustificato con la forza il prevalere del solo interesse nazionale americano. Gli Stati Uniti hanno inventato la globalizzazione a partire dal 1995, non l’hanno regolata convinti che è la legge del mercato che guida il mondo. Hanno scoperto che non è così. E adesso si ritirano e utilizzano la potenza loro rimasta per riportare tutto a casa. Un segno di debolezza, non di forza.
Nel frattempo sta sorgendo un nuovo ceto medio di nazioni emergenti, dall’Arabia Saudita al Brasile, per i quali la globalizzazione è una benedizione. Dal Sud America all’Australia tutti guardano ai mercati aperti. È in questa direzione che muove il governo italiano. Nel 2024 il nostro export verso i Paesi tradizionali, Usa, Cina, Sud Corea ecc. è calato di 12 miliardi, ma la bilancia commerciale non ne ha risentito perché le aziende italiane si sono mosse verso Australia, Messico, Turchia e altri Stati meno conosciuti ma che hanno centinaia di milioni di consumatori sempre più attratti dai prodotti italiani. La via del cotone è la strada che porta all’India e all’Oceano indiano. Dalla stretta dei dazi si esce attraverso il canale di Suez. Per gli europei è solo una questione di tempo. Quel tanto che basta per organizzare nuove vie di sbocco dove lo scambio non è gravato da balzelli e ci si possa svincolare dal ricatto degli Usa.
Ecco perché Meloni al suo ospite americano offrirà vicinanza ideologica ma non oltre. Ed è una postura che, se giocata abilmente, aiuta nella trattativa all’interno dell’Unione Europea. Le misure di Trump hanno dato ai governi in difficoltà finanziaria come quello italiano carte da giocare. Il ministro Tajani per esempio replica ai suoi interlocutori americani che non si può pretendere il 5% per le spese di difesa se poi si mettono in difficoltà i bilanci degli Stati Nato con i dazi. Ai Paesi dell’Unione Europea sia Meloni che Tajani chiedono l’eliminazione delle barriere interne, per esempio la sburocratizzazione delle procedure, un’unione di capitali, una maggiore armonizzazione fiscale, una politica energetica comune e la revisione del Patto di stabilità. Tutti fattori di crescita della produttività che Draghi ha ben evidenziato nel suo Rapporto sulla competitività.
La Germania ha rotto il tabù del vincolo di bilancio e non può pretendere che valga solo sul territorio tedesco. Forse a Washington non lo sanno ma la sfida americana per l’Europa è una grande opportunità.
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