Il fallimento della Brexit nel mondo globalizzato

Europa.La Brexit? Un mal di pancia senza fine. In cambio di maggiore sovranità il Regno Unito ci ha rimesso una barca di soldi ed enormi opportunità lavorative e di sviluppo. Londra ci ha guadagnato, al contrario, uno spaventoso rompicapo burocratico, difficoltà di approvvigionamento di alcune merci e problemi nel garantire certi servizi. Ufficialmente nessuno ammette il «fiasco» e nemmeno il mezzo passo falso. Figuriamoci: l’orgoglio britannico non lo permetterebbe mai.

Tale posizione è facilitata anche dalla non semplice interpretazione dei dati finora disponibili. Infatti la pandemia e lo scoppio della guerra in Ucraina complicano il calcolo per scoprire il vero costo del divorzio dai Ventisette. Se, però, si parte dall’aspetto geopolitico si comprende che è affondato con Donald Trump l’illusorio progetto di creazione di un’area di libero scambio britannico-americano-canadese, tanto caro a conservatori ultrasettantenni, che non hanno ancora compreso che il mondo del XXI secolo è ormai globalizzato.

A tale punto va aggiunto il nuovo scontro con la Russia che ha costretto l’Occidente a serrare le fila. Quando in gioco ci sono la democrazia e la libertà certe questioni economiche, logicamente, passano in secondo piano. Per fortuna per Londra, l’Alta corte ha appena negato alla Scozia un nuovo referendum sull’indipendenza dopo quello vinto nel 2014 dagli unionisti grazie alla promessa di mantenere intatti i legami con l’Ue. Altrimenti sarebbero dolori.

La novità delle ultime settimane è semmai che, dopo l’uscita di scena di Boris Johnson e l’incredibile debacle di Liz Truss - la premier meno longeva nella storia del Regno Unito -, Rishi Sunak si trova di fronte ad un dilemma amletico. Ossia seguire il «modello svizzero» nei rapporti con l’Unione europea oppure definire con i Ventisette qualcosa di diverso e, se possibile, più conveniente. In altre parole, ad oltre sei anni e mezzo dal referendum con cui il Regno ha sancito la propria separazione dall’Unione europea, Londra ha oggi la necessità di sciogliere i restanti nodi ancora in sospeso con Bruxelles. A parte la questione nord-irlandese con il Protocollo adottato e contestato da più parti, il premier britannico tenterà presto di perseguire un accordo commerciale privilegiato con l’Ue? In sostanza, Londra si allineerà - anche parzialmente - alle leggi comunitarie come fa Berna in cambio di accesso al mercato unico almeno in alcuni settori? Pubblicamente Sunak - che nel 2016 ha votato a favore della Brexit - dice di no, ma non ha senso stringere accordi di un certo tipo con la lontana Australia e rinunciare a priori alle opportunità offerte sull’uscio di casa. E allora che fare? La situazione finanziario-economica del Regno Unito preoccupa. Stando ad un analista della Banca d’America, la sterlina - crollata a minimi storici - sta fronteggiando una «crisi esistenziale» simile a quella che combattono le monete dei mercati emergenti a causa della mancata conoscenza dei veri effetti della Brexit.

Alcuni studi affermano che l’economia britannica è oltre il 5% inferiore rispetto a quanto sarebbe se non vi fosse stato il divorzio dall’Ue, gli investimenti a -13,7%, il commercio di merci a -13,6%. Nel 2023 la crescita del Regno Unito sarà la peggiore tra i Paesi del G20 eccetto la Russia. La Banca di Inghilterra si aspetta una recessione associata ad un’inflazione dei salari a causa della mancanza di lavoratori causata dalla Brexit.

Stando ai sondaggi la gente, che nel 2016 si era polarizzata tra il «Remain» e il «Leave», adesso è contraria in maggioranza al divorzio. Che mal di pancia, mister Sunak.

© RIPRODUZIONE RISERVATA