L'Editoriale
Martedì 20 Febbraio 2024
Il doppio dramma nelle parole di Yulia
IL COMMENTO. È impossibile non farsi toccare dal messaggio che Yulia Navalnaya, moglie di Aleksej, il dissidente morto nel carcere russo IK-3 sito oltre il circolo polare artico, ha affidato al canale social che fu del marito e che ha 6,3 milioni di iscritti.
Impossibile non cogliere il dolore e la forza da eroina della tragedia greca con cui Yulia ripete, sette volte nel pur breve appello, che Vladimir Putin ha ammazzato il suo Aleksej, «il padre dei miei figli, la cosa più cara, la persona più vicina ed amata». E altrettanto impossibile sarebbe ignorare il proposito di continuare l’impegno del marito, di dare un nome e un volto ai responsabili della sua morte, di tenere alta la bandiera di una Russia diversa, «di lottare contro la guerra, contro la corruzione, contro l’ingiustizia. Lottare per elezioni oneste e per la libertà di parola, lottare per restituire il nostro Paese a noi stessi». Ed è proprio in questi passaggi che si avverte, oltre alla generosità e alla passione della persona, anche la disperazione del momento.
Navalny è morto in una colonia penale a regime duro proprio nel momento in cui, a voler essere crudelmente sinceri con noi stessi, le speranze di quella Russia diversa, aperta all’interno e all’esterno, evocata da Yulia Navalnaya sembrano più ridotte che mai. Aleksej Navalny fu arrestato per l’ultima volta il 17 gennaio 2021, all’aeroporto Sheremetvevo di Mosca, al ritorno dalla Germania dove aveva curato le conseguenze del tentativo di avvelenamento subito il 20 agosto 2020 nella città siberiana di Tomsk. Dopo il suo arresto, l’intera rete con cui aveva più volte messo sotto accusa, e comunque in imbarazzo, il Cremlino fu rapidamente smantellata: messi al bando il partito Russia del futuro e la Fondazione anti-corruzione, arrestati o costretti alla fuga all’estero tutti i principali collaboratori, chiuse le sedi aperte in diverse città della Russia. Navalny non era un politico, non era portatore di un’ideologia, ma era un grande e abile interprete dell’insoddisfazione di una parte, minoritaria ma influente, della società russa per le politiche via via sempre più nazionaliste del Cremlino. Era un’attivista, un movimentista, e aveva raggiunto i risultati migliori in quella veste: nel 2021, quando uscì il famoso documentario sul Palazzo di Putin (una mega villa sul Mar Nero che secondo la Fondazione anti-corruzione apparteneva appunto al Presidente, dietro uno schermo di intermediari), l’indice di approvazione di Putin perse di colpo dieci punti. Di quella rete, di quelle incursioni che il Cremlino non riusciva a fermare, resta poco. La Fondazione ha cercato e cerca di operare dall’estero ma non può più raggiungere i russi come prima. È in corso, in vista delle elezioni presidenziali di marzo, la campagna Ne Putin, no a Putin, ma quanti da noi se ne sono accorti?
Il movimento di Navalny, senza Navalny da tre anni, non è più la stessa cosa. E nel frattempo la Russia è ancora cambiata in peggio. Ricorrono tra pochi giorni i due anni dell’invasione dell’Ucraina (24 febbraio 2022) e il regime di guerra l’ha trasformata in una vera autocrazia. Una serie di leggi speciali ha chiuso ogni spazio all’informazione indipendente, alla critica e al dissenso politico: basta pensare a quella che punisce con pene fino a cinque anni di carcere e il sequestro dei beni coloro che diffondono «notizie false sulle forze armate», dizione vaga che ovviamente consente anche i peggiori arbitrii. E comunque resta il fatto che le politiche putiniane raccolgono dissenso (significativo l’esodo dal Paese di circa un milione di persone, in gran parte giovani professionisti, nei primi mesi del 2022) ma anche consenso, come i sondaggi degli istituti più accreditati (per esempio il Centro Levada, che in Russia è inserito nella lista degli «agenti stranieri») via via confermano.
E in tutto questo, la situazione sul fronte ucraino al momento parla a favore della Russia. C’è la caduta della piazzaforte ucraina di Avdeevka ma soprattutto c’è un esercito russo che da settimane è all’offensiva su una linea lunga quasi mille chilometri, dopo che Usa ed Europa hanno investito centinaia di miliardi nella resistenza di Kiev. Per tutto questo le parole di Yulia Navalnaya portano con sé una doppia carica drammatica, quella personale e quella globale, che resterà con noi a lungo e ci farà riflettere.
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