Il diritto alla pace e il dovere di crederci

MONDO. Quando nel 1795 fu firmato l’armistizio tra la Francia repubblicana e la Prussia imperialista nessuno credeva a una pace duratura, eccetto Kant. Scrisse: «Per la pace perpetua».

Titolo ironico, in tedesco, perché suona come una ammonizione: se non si pongono la basi per una convivenza pacifica l’unica «pace» che avremo sarà quella «perpetua», in cielo. Kant era convinto che una federazione di Stati liberi e repubblicani avrebbe garantito tramite il diritto la pace tra i popoli. Gli fu dato dell’illuso. La condizione naturale dell’uomo è quella della «guerra di tutti contro tutti». Bisogna pensare alla propria sopravvivenza, a difendere la propria nazione. Così ragionavano i governanti, ma - per Kant - la pace non è solo una parentesi tra una guerra e l’altra, una tregua tra popoli belligeranti. La pace è un «dovere assoluto», frutto di uno sforzo di «nobili spiriti». Nessuno credette che la pace fosse possibile per l’impegno della libertà e si optò per lo Stato totalitario.

La pace è un «dovere assoluto», frutto di uno sforzo di «nobili spiriti»

Quando in India iniziò la protesta per la tassa sul sale nessuno credeva che avrebbe portato all’indipendenza dagli inglesi, eccetto Gandhi. La determinazione di un singolo può diventare la forza di un popolo, perché la pace è legata alla crescita della coscienza umana e può venire solo da uomini di buona volontà. La difesa popolare non violenta in Occidente raccolse solo ilarità e commiserazione. Da noi prevalse il «Vincere e vinceremo!» e seguirono i milioni di morti della Seconda Guerra Mondiale.

Le Torri gemelle e Giovanni Paolo II

Quando gli attacchi terroristici alle Torri gemelle fecero pensare che era in atto uno scontro di civiltà alimentato dalle religioni, molti sostenevano che era necessaria una guerra di difesa preventiva, eccetto Giovanni Paolo II. Convocò i leader religiosi ad Assisi, facendo di tutto per togliere sostegno religioso all’abuso del nome di Dio per giustificare terrorismo, violenza e guerre. Fece sì che gran parte del mondo islamico non vivesse la guerra come una nuova «crociata» e non si identificasse l’Occidente col cristianesimo. Per primo parlò del «diritto alla pace», come conseguenza del diritto alla vita, tanto che «il diritto dei popoli alla pace» venne accettato dalle Nazioni Unite.

Per primo parlò del «diritto alla pace», come conseguenza del diritto alla vita, tanto che «il diritto dei popoli alla pace» venne accettato dalle Nazioni Unite

La diversità di religione non giustifica le guerre o l’inimicizia. Invece a partire dalla fede religiosa si può diventare «artigiani di pace» e non spettatori inerti dell’odio e della violenza. «Dio chiederà conto, a chi non ha cercato la pace o ha fomentato tensioni e conflitti, di tutti i giorni, i mesi e gli anni di guerra che hanno colpito i popoli» ha detto Papa Francesco.

Un patto tra generazioni

La via che porta alla pace si percorre insieme, va pensata da una generazione per quella successiva. Siamo debitori della nostra pace a chi l’ha ottenuta a costo della vita e siamo responsabili di una vita nella pace per chi verrà dopo di noi. Soltanto una giustizia basata su questo patto non scritto tra le generazioni dell’umanità può servire a una pace duratura.

Ma non basta. Va cambiata la logica dei rapporti umani. Finché prevarrà «l’occhio per occhio e dente per dente» il male verrà contraccambiato con il male. Al male si aggiunge sempre altro male, perché soltanto in tal modo lo si può giustificare. Se un tempo si poteva mettere in conto di perdere un occhio o un paio di denti oggi con le bombe e le rappresaglie di massa si va diretti verso la fine. L’altra logica è quella del discorso della montagna. Credere che i nemici possono diventare amici, se siamo capaci di ricambiare il male con il bene. Se crediamo nella forza dell’amore che va oltre l’ostilità per raggiungere il cuore. Se vedo nell’altro un fratello non mi chiedo «Come posso difendermi?», ma «Come possiamo crescere insieme?». Non possiamo assicurare la pace sgominando tutti i possibili nemici, ma abbattendo le ostilità e assumendo la nostra responsabilità per la sicurezza di tutti. Con il Vangelo si può anche «far politica», ma solo una politica di pace. Pochi ci credono. Eccetto noi.

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