L'Editoriale
Martedì 17 Novembre 2020
Il dilemma: chiedere
aiuto agli avversari?
Una manovra da circa 38-40 miliardi e un nuovo scostamento di Bilancio per altri 15-20: il governo affronta così l’emergenza economica causata dalla seconda ondata del Coronavirus e si prepara all’ipotizzato e temuto terzo assalto. Buona parte delle misure già prese in precedenza (decreto «ristori» e altri) vengono prorogate, a cominciare dalla cassa integrazione che andrà avanti per altre dodici settimane, dal blocco dei licenziamenti fino a marzo 2021, dai bonus fino ai crediti di imposta. Ci sono 4 miliardi per il ristoro delle attività produttive più colpite e c’è la decontribuzione per tre anni per l’assunzione di giovani e donne specialmente nel Mezzogiorno; si deroga dal decreto Dignità per incrementare e semplificare i contratti a tempo determinato e arriva l’assegno unico per la famiglia (3 miliardi). Ci sono i 400 milioni per acquistare i vaccini prossimi venturi insieme agli aiuti per la ricerca e per l’edilizia sanitaria. Sono previsti fondi per gli asili nido e per l’adeguamento digitale della scuola insieme a nuove risorse a favore della coesione sociale nelle aree più svantaggiate.
Tutto questo naturalmente aumentando il deficit, già altissimo (ma tollerato dalla Commissione) e aspettando che il Recovery Fund muova i primi passi. Cosa quest’ultima tutt’altro che semplice a giudicare dalle tante manovre dilatorie (da parte dei Paesi frugali) e dai ricatti (di Polonia e Ungheria «sovraniste»). Di Mes – 37 miliardi a tasso zero e pronta cassa – per il momento non parla nessuno, ma c’è da giurare che, prolungandosi l’emergenza, fatalmente il tema tornerà a galla, quasi fatto apposta per incrinare la maggioranza. Che adesso deve affrontare i marosi della maggioranza, soprattutto al Senato. Non a caso l’esame della manovra (che deve procedere al galoppo, visto il ritardo accumulato e l’obbligatoria approvazione definitiva del disegno di legge entro il 31 dicembre) partirà alla Camera dove i numeri del governo sono meno preoccupanti. Quando però si arriverà a Palazzo Madama, dove la maggioranza ha un margine esilissimo a causa delle continue defezioni grilline, bisognerà procedere a colpi di fiducia e non senza ansia.
Ecco dunque che si riapre la possibilità di una «collaborazione» con l’opposizione: in realtà la disponibilità dialogo è del solo Silvio Berlusconi – fresco dello scudo alzato dal governo a difesa di Mediaset dall’assalto della francese Vivendi – mentre Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono attestati sulla strategia di attacco: «Il governo non ci ascolta, il vero sordo è Giuseppe Conte, non noi». Ieri sera c’è stata una lunga riunione del centrodestra in cui il vecchio patron azzurro ha provato a convincere i sodali che se vogliono un giorno governare l’Italia devono mostrare all’Europa il volto rassicurante di forze responsabili. Ma proprio Salvini e Meloni in queste ore sono messi in serio imbarazzo dall’offensiva dei loro alleati polacchi e ungheresi contro il Recovery Plan, che per noi significa puro ossigeno.
Sta di fatto che la collaborazione con l’opposizione, qualora ci fosse, sarebbe comunque ostacolata nella maggioranza dal M5S: anche se agli Stati Generali del movimento ha vinto l’ala «governista» di Luigi Di Maio, un sostegno di Forza Italia al governo farebbe saltare i precarissimi equilibri interni dell’ex partito di maggioranza. Il Pd preme perché si accettino i voti berlusconiani, ma per il momento deve rassegnarsi, come ha fatto – nonostante tutto – con i soldi del Mes.
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