L'Editoriale
Venerdì 18 Marzo 2022
Il Cremlino a un crocevia. La superiorità militare non basta contro l’Ucraina
E chi li tira fuori adesso i russi dal pantano ucraino? La loro avanzata si è fermata e le perdite sono pesanti, certificano fonti occidentali. La diplomazia sta tentando di trovare delle convergenze. Rappresentanti di Mosca e di Kiev sarebbero riusciti a identificare un possibile futuro status dell’Ucraina a metà fra Svezia e Austria nel Dopoguerra.
Se il russo Putin lancia la crociata contro le «quinte colonne» in patria e l’Autorità per le telecomunicazioni blocca qualsiasi sito dissenziente straniero scritto in russo, l’ucraino Zelensky afferma in videoconferenza con il Congresso Usa che il suo Paese vive da tre settimane degli «11 Settembre». A questo punto sorgono delle domande, soprattutto di carattere militare. Ma quale è la strategia dei generali del Cremlino, se ve n’è una? Quali sono i loro veri obiettivi? Proviamo a fare ordine. Basandosi sulle informazioni dell’intelligence, Vladimir Putin aveva pianificato una «guerra lampo», che, in due giorni, avrebbe dovuto concludersi. Il nodo saliente era che, secondo l’ex Kgb russo, gli ucraini si sarebbero ribellati ai «nazionalisti» e avrebbero accolto i «liberatori» a braccia aperte. L’esercito di Kiev sarebbe fuggito. Invece non è andata così. Sarebbe bastato farsi quattro passi per le strade di Mariupol, Khalkiv o Poltava per rendersi conto che tale presupposto insurrezionale era privo di fondamento. Anzi, da 8 anni gli ucraini aspettavano i russi per regolare i conti; sul sangue versato si è formata quella nazione, che alcuni ideologi del Cremlino - legati a concezioni del secolo scorso - si ostinano a negare ancora oggi. Ecco spiegato il perché, dopo il fallimento della «blitzkrieg», Putin ha licenziato i capi delle sezioni informative dei suoi Servizi segreti. Da quello che appare oggi dai campi di battaglia, in teoria per i russi sono tre gli obiettivi da raggiungere: il primo espugnare la capitale Kiev come Berlino nel 1945; il secondo, conquistare a sud una fascia, che privi l’Ucraina dello sbocco sul mare e congiunga la regione di Rostov fino alla Transnistria, la Repubblica del Dniestr; il terzo arrivare fino al confine amministrativo del Donbass (le due Repubbliche filo-russe, prima dell’«operazione speciale», rappresentavano solo un terzo del bacino carbonifero).
Tentare di occupare l’intera Ucraina è un suicidio: al massimo le regioni occidentali possono solo essere colpite da lontano con missili o l’aviazione. L’unico mezzo-obiettivo finora centrato è la presa di Kherson con il suo canale idrico che tornerà a ridare acqua alla Crimea, la penisola assetata. Ma da qui la strada verso ovest e Odessa è bloccata a Nikolaev. Verso sud-est è Mariupol, col suo porto strategico per l’export del grano, a resistere, bombardata anche dal mare. In città sono presenti le élite dell’esercito di Kiev. Tra le sue rovine e tra le sue fabbriche gli ucraini potrebbero tentare di trasformare Mariupol nella Stalingrado d’Azov. La superiorità tecnica russa verrebbe azzerata; vincerebbe chi ha più cuore. Lo stesso vale per Kiev, dove un intero popolo è in armi. Il Cremlino è a un crocevia. Ulteriori azioni militari significheranno ulteriori perdite. I bombardamenti a tappeto su Mariupol o Kiev farebbero il gioco della resistenza. Davvero un rebus per Putin.
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