Il coraggio di Bergoglio
Un leader mondiale
contro il settarismo

Jorge Mario Bergoglio è l’unico vero leader mondiale. Il viaggio in Iraq ne è stata la conferma perfetta e definitiva, se qualcuno ancora avesse qualche dubbio. In piena pandemia, nel mezzo della tempesta globale, è andato là dove tutti gli sconsigliavano per parlare ad un mondo che resiste su un’incredibile bugia, quella delle identità non plurime, individualismo personale e comunitario, declinato oggi nel neo-imperialismo sanitario e nella diplomazia della protezione opposta a quella del multilateralismo.

Francesco nella missione in Iraq ha parlato al mondo intero e ha scongiurato di evitare un nuovo scontro di civiltà nel tentativo fasullo di cambiare le cose. Oggi il Papa è l’unico vero attore geopolitico globale, che travalica anche il perimetro del dialogo interreligioso. Chi la pensa in modo diverso non gli riconosce autorità morale. In Iraq ha detto che «nessuno si salva solo» e ha sbaragliato con quattro parole chi crede nella potenza della fortezza cattolica, chi sogna la ripresa d’iniziativa delle religioni civili, chi invoca un nuovo patto tra fedi e imperi. Ha spiegato che intraprendere una strada diversa dalla fratellanza per ridisegnare ogni rapporto tra gli uomini, tra le religioni e tra gli Stati, significa aprire «voragini di diseguaglianza» con rischi enormi, progetto scellerato di riorganizzazione mondiale su base integralista. Porterebbe il mondo sull’orlo dell’agonia. Per questo motivo ha voluto, con un’ostinazione mai vista, andare in Iraq e non solo a Bagdad, ma a Ur, a Najaf a casa del Grande Ayatollah Al Sistani, a Erbil e nella piana dei martiri di Ninive. Ha sfidato scetticismi, non ha avuto timore di essere accusato di irenismo, consapevole che nel viaggio iracheno era in gioco ben più del bene del solo Paese che per tre giorni lo ha ospitato: è in gioco il futuro dell’umanità. La fraternità è insieme una sfida e un’alternativa alla violenza e al disprezzo, un progetto e un metodo, politico e diplomatico, oggi incredibilmente sottovalutato, osservato al massimo con altezzosità dai chierici delle identità, da chi non si cura dei naufraghi e non capisce che i veri naufraghi siamo noi. Bergoglio è convinto che non rimanga molto tempo per correggere nei cittadini del mondo l’avanzamento di un nuovo scontro di civiltà, aggravato dalla pandemia. È andato a dirlo in Mesopotamia, perché lì ad Ur dei Caldei, terra del patto tra Dio e Abramo, tutto diventa più chiaro ed è più facile capire che il senso di appartenenza ad una collettività unica può salvare l’umanità, al contrario dell’isolamento, della corsa agli armamenti, del consumismo, del denaro, dell’intolleranza, dei falsi rinascimenti, di pacificazioni effimere. Una delle frasi nei cartelloni di benvenuto al Papa sulle strade della piana di Ur era: «Voi siete parte di noi e noi siamo parte di voi». Non vale solo per il dialogo interreligioso e la pace tra il Tigri e l’Eufrate. Bergoglio ha allargato i margini: «Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli e non ci sarà pace finché gli altri saranno un loro e non un noi». Due sono le cose da fare, secondo il Papa: perdonare e lottare. Perdonare cioè riconoscere finalmente l’incredibile bugia di un mondo che blinda identità nell’illusione di proteggersi, e lottare, cioè trovare il coraggio della solidarietà e della condivisione come fratelli e cittadini uguali per diritto di nascita e non per diritto di protezione temporanea da parte di qualche falso altruista. Il nemico globale è il settarismo, distruttivo per i cristiani e tutti gli altri in Iraq come si è visto fin qui, ma soprattutto devastante nella sua declinazione globale, oggi intrisa d’odio e di indifferenza.

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