Il centro moderato
in Italia è sparito

Dove sono finiti i moderati? Mancava solo il tracollo di due domeniche fa della Csu bavarese per completare il quadro desolante della crisi in cui sta sprofondando la famiglia dei partiti popolari europei. Uno dopo l’altro, nel giro di un decennio, hanno subito tutti un ridimensionamento talmente pesante da metterne in discussione il ruolo di protagonista che hanno ininterrottamente ricoperto dalla fine della Seconda guerra mondiale. Parliamo della Dc e di Forza Italia, dei gollisti francesi, della Nuova Democrazia in Grecia, del Partito popolare in Spagna, del Partito moderato in Svezia, degli stessi Conservatori di Teresa May in Inghilterra, per non dire di quei partiti (come il Fidesz di Orban in Ungheria) che hanno mantenuto il loro nome e la collocazione nel campo dei moderati ma hanno stravolto in senso populista la linea politica.

L’ultimo atto, destinato con ogni probabilità a sanzionare la definitiva condanna dei moderati all’irrilevanza, potrebbero essere le elezioni del Parlamento europeo della prossima primavera. A quel punto non ci sarebbero più eccezioni. A Roma come a Bruxelles, si chiuderebbe Il lungo ciclo postbellico che ha visto dominare, praticamente ovunque, formazioni riconducibili al mondo del popolarismo per lasciare il posto alle nuove espressioni del cosiddetto populismo. Di questo sfacelo annunciato abbiamo noi il privilegio di averne un anticipo. Il centro moderato in Italia è praticamente sparito. Lega e M5S si sono ritrovati libero il campo. Come si vede in questi giorni, non hanno nulla da temere se non da se stessi. Le opposizioni sono capaci infatti solo di strillare, non di offrire un’alternativa di governo.

In assenza di forze in grado di contrastare la loro avanzata, il cambio di consegne tra moderati e populisti si annuncia come un passaggio storico. Pesanti e radicali sono i cambiamenti che promettono, in netta discontinuità col passato. In politica estera chiedono l’abbandono dell’atlantismo e dell’europeismo. In politica interna il ridimensionamento dei poteri e degli istituti di controllo dell’esecutivo e, in aggiunta, il potenziamento della spesa sociale e assistenziale; tutto ciò in odio alla politica dell’austerità, accusata di essere la madre di tutte le nostre odierne sofferenze sociali ed economiche.

Il dato più sorprendente del radicale cambio di scenario in atto è il suo carattere d’inesorabilità. Da quando s’è messo in moto, non ha incontrato argini capaci di contenerlo. La sua avanzata presenta una tale forza che non ci sembra spiegabile né con la sola insipienza degli avversari né con la sagacia dei promotori.

Evidentemente, c’è del marcio in Europa. Forse tutto dipende dallo sfaldamento del corpaccione dei ceti medi che per tutto il Novecento hanno costituito la base d’appoggio dei partiti di governo. Questo blocco sociale, frammentato negli interessi, è sempre stato saldamente unificato da un incrollabile sentimento di fiducia nel futuro del Paese. È la globalizzazione che s’è incaricata di dissolverlo. Alla fiducia verso il futuro ha fatto subentrare il rancore verso il presente e lo scoramento verso il futuro: un habitat non certo ideale per i moderati.

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