L'Editoriale
Giovedì 07 Novembre 2019
Il bimbo malato
oltre l’abbandono
A volte per un neonato la vita comincia subito in salita. In questi giorni le cronache ci hanno fornito tanti casi che fanno pensare. A Roma al Policlinico Casilino quattro bambini avevano dato segnali di astinenza in quanto figli di mamme tossicodipendenti. La stessa cosa era accaduta all’ospedale Careggi di Firenze per un altro piccolo. Di ieri è invece la notizia di un neonato nato con una malattia rara, la Ittiosi di Arlecchino, che colpisce solo in un caso su un milione. È una malattia rara, talmente rara da non essere inclusa nei prontuari.
Il nome deriva dal fatto che chi ne è affetto ha la pelle ricoperta da una membrana lucida, associata a placche che ricoprono tutto il corpo simile alle pezze del costume di Arlecchino. I genitori non se la sono sentita di reggere la normalità di una malattia come questa e hanno deciso di lasciarlo in ospedale. Giovannino, così è stato chiamato dal personale dell’ospedale Sant’Anna hanno però assistito ad un piccolo miracolo. Il bambino a cui venivano date poche settimane di vita, in realtà oggi ha quattro mesi e vive nel reparto di terapia intensiva di neonatologia. Potrà restare lì ancor due mesi, poi per lui inizierà un’avventura che ha i contorni ancora incerti. Quando la sua storia è diventata pubblica, l’ospedale torinese si è trovato sommerso da telefonate di coppie e famiglie che da tutt’Italia si dicevano disponibili ad adottare il piccolo Giovanni.
Una grande prova di generosità, visto che chi si offriva sapeva in quale condizione si si trovava il bambino. Che deve essere curato con grande attenzione, perché è a rischio di infezioni e a volte basta un respiro per provocare lesioni. Il percorso per l’adozione però non è semplice perché il Tribunale deve prima assicurare lo stato di abbandono; più semplice il percorso quando una mamma dichiara prima del parto di non voler tener il figlio. In quel caso il bambino nasce figlio di «Nn» («Nomen nescio», «Non conosco nome»), e la procedura di adozione è più semplice.
Il primario del reparto torinese Daniele Farina ha saggiamente detto che non si devono giudicare i genitori che hanno fatto questa scelta. Istintivamente siamo portati a pensare che abbiano agito per egoismo. Ma forse la loro fragilità umana e psicologica è perfino più acuta della fragilità di quel loro bambino; e questo spiega una scelta che immaginiamo tormentata. Tra le persone che si sono fatte vive in questi giorni c’è anche il superiore del Cottolengo che ha voluto scrivere una lettera pubblica al piccolo Giovanni. Ha detto che il suo istituto è pronto ad accoglierlo nell’attesa che il percorso di adozione arrivi a buon fine e il bambino trovi una sua famiglia. Don Carmine Arice ad un certo punto della sua lettera scrive: «Per te caro Giovannino vorremmo pensare un’accoglienza degna del valore infinito della tua esistenza». Parole preziose perché indicano lo sguardo con cui mettersi davanti a questo caso: capire che ogni piccola vita, comunque venga al mondo è qualcosa di immenso e di infinito, è il modo vero per essere poi aiutati ad accoglierla. L’augurio è che queste parole possano valere in futuro per qualunque genitore deve affrontare prove come questa. Certamente sono parole sperimentate da una delle mamme di quei tanti (troppi) bambini nati e già provati dalle conseguenze dell’astinenza. È Angela - nome vero e storia vera - che di fronte al miracolo del suo piccolo Leo, ha deciso di entrare in comunità e iniziare a disintossicarsi. La vita che nasce aiuta a rinascere. Il piccolo Giovannino, con la sua storia ha comunque dato un segno nella stessa direzione: tutte le telefonate arrivate di persone pronte ad accoglierlo, sono il segno di come ogni nascita generi nuove e impreviste speranze, più forti di tutto.
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