L'Editoriale
Mercoledì 29 Settembre 2021
Il benessere raggiunto
e la paura di perderlo
Il messaggio delle elezioni tedesche di settembre 2021 è lo stesso di quelle americane di novembre 2020. I cittadini non vogliono perdere il livello di benessere raggiunto. Per questa convinzione non vi sono confini. La popolazione invecchia in Occidente e tende alla conservazione. E tuttavia con il surriscaldamento globale alle porte la terra non vota ma conta i giorni. L’elettore si trova così preso tra due fuochi: sa di avere i mesi e gli anni contati per la salvezza del pianeta e teme che questi lunghi giorni coincidano con la disoccupazione, la precarietà, in breve la povertà. Per i governanti la sfida suona così: «La gente non vuole che la protezione del clima distrugga la nostra prosperità. Ma non vuole nemmeno che la nostra prosperità distrugga i nostri mezzi di sussistenza naturali. Queste due prospettive, che hanno entrambe la loro giustificazione e importanza, devono essere riunite in un buon programma di governo». Lo dice un esponente del partito liberale Fdp ed è il riassunto dell’unica azione di governo possibile. Per far questo non bastano i partiti. I distinguo nei loro programmi finiscono nei dettagli.
Chi non è favorevole alla lotta al mutamento climatico? Chi si oppone alle energie rinnovabili? Chi non è per una digitalizzazione del sistema produttivo e amministrativo? La differenza la fa la persona chiamata al cambiamento. L’Italia insegna. Da Paese rissoso e abituato a gridare ha trovato l’uomo al quale affidarsi. Mario Draghi punta alla coesione, alla stabilità, alla solidarietà nazionale e dà quindi certezze. In Germania Olaf Scholz ha vinto ma non ha carisma, vola basso e non arringa alle folle. Quando era segretario generale della Spd, ai tempi di Schröder, lo chiamavano Scholz o Mat per la meccanicità delle risposte. Per lui devono parlare i fatti. Ed è ciò che si aspettano i cittadini. Quando un elettorato teme per sé e per il futuro della famiglia e del suo Paese vuole essere guidato. Tutti si devono però confrontare con i problemi lasciati da questi 16 anni di Merkel. Le capacità tecniche e industriali del Paese sono di prim’ordine. Come diceva Schröder: noi siamo i migliori costruttori del mondo di automobili. Ma i tedeschi lo sono stati fino al punto di manipolare le emissioni con lo scandalo diesel. Si sono fissati sull’export giustificandolo come il necessario premio a chi meglio lavora. Hanno tralasciato la tecnologia digitale, l’e-commerce, l’intelligenza artificiale. Il risultato è che adesso la Germania nella fibra ottica è al 34° posto nella classifica Ocse dietro all’Italia. Il Dax che comprende le maggiori imprese tedesche alla Borsa di Francoforte vale meno della sola Apple e Volkswagen, che come Toyota vende circa 11 milioni di auto, vale la metà della concorrente giapponese ai valori di Borsa.
E se vogliamo guardare anche alle piccole cose, in Germania vi è il maggior consumo di carta. Tre volte tanto il consumo della Cina. Il che ci dice di come la burocrazia sia lenta e lavori ancora con fotocopiatrici e fax. Il commercio on line è solo al 12% degli scambi commerciali al dettaglio. Un eccesso di stabilità ha portato al ritardo. Per la Germania e la sua industria i microchips sono fondamentali ma sono stati lasciati a Paesi come Taiwan e Sud Corea. Volkswagen vende il 41% delle sue macchine sul mercato cinese. Come si fa ad essere indipendenti dalla Cina? La Germania sta scoprendo che economia va bene se non diventa economicismo. Olaf Scholz prima del programma politico esprime il sentire della nazione. La Spd ha festeggiato nel 2013 il 150° compleanno, è ricca di tradizione. Nei momenti difficili diventa un’istituzione che va oltre il suo peso politico e che con la sua storia dà identità.
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