L'Editoriale
Domenica 27 Ottobre 2024
Il «balletto» delle bombe e l’incognita americana
MONDO. La mappa delle strutture militari iraniane attaccate ieri notte dalle forze aeree di Israele è impressionante: da Teheran a Kermanshah, la parte centrale del Paese è stata bersagliata di bombe, come mai era successo prima.
Infatti, soprattutto qui da noi, c’è chi esulta, e parla di grande dimostrazione di superiorità. Eppure ci sono elementi che possono lasciare perplessi, tanto che all’interno di Israele le opposizioni già protestano: splendida missione dei nostri aviatori, dicono, ma risultati di modesto rilievo. Perché non ne abbiamo approfittato per colpire i laboratori del nucleare o, almeno, le infrastrutture, per prime quelle petrolifere, che tengono in piedi la pericolante economia dell’Iran? Non è un caso se, mentre il Governo israeliano parla di «attacchi precisi» contro le basi militari iraniane, i portavoce della Casa Bianca parlano di «attacchi mirati», cioè limitati. Sottigliezze da diplomatici ma che hanno un senso preciso. Altro indizio: nella notte delle bombe sono morti due soldati iraniani. Poche ore prima, in un attacco terroristico nel Baluchistan iraniano, ne erano stati uccisi dieci.
In effetti anche questa offensiva (o legittima difesa, chi riesce più a tenere il conto?) di Israele sembra rientrare, nella sua sostanziale «moderazione», in quel ping pong di attacchi e contrattacchi che va avanti da molto tempo e ha una caratteristica precisa: ci si colpisce ma senza esagerare
In effetti anche questa offensiva (o legittima difesa, chi riesce più a tenere il conto?) di Israele sembra rientrare, nella sua sostanziale «moderazione», in quel ping pong di attacchi e contrattacchi che va avanti da molto tempo e ha una caratteristica precisa: ci si colpisce ma senza esagerare. Ci si fa del male ma non troppo. Si sfoggia il potenziale bellico ma non lo si usa.
Si colpisce, ma non troppo
La domanda vera, quindi, è: perché? Qual è il senso di questo balletto? Allo stato delle cose è possibile scorgere due ragioni fondamentali per un atteggiamento che è reciproco, tanto da destare una ridda di voci su notifiche preventive inviate dall’uno e dall’altro, attraverso Paesi terzi, alla vigilia di ogni attacco. La prima ragione è che né l’Iran né Israele, alla fin fine, vogliono uno scontro aperto, una vera guerra. L’Iran perché non potrebbe reggere un braccio di ferro militare contro il duo Israele-Usa, visto che in caso di guerra aperta la Casa Bianca non esiterebbe a impegnarsi a fianco dello Stato ebraico, cosa che peraltro già fa: 20 miliardi di dollari di armi solo nell’ultimo anno, e chissà quali contributi di intelligence. E lo stesso si può dire per Israele. Le sue forze armate sono già stressate dal duplice impegno a Gaza e in Libano e le ultime vicende hanno impartito lezioni non felicissime. Sparare sui campi profughi di Gaza non è complicatissimo, proprio come bombardare il Libano privo di difesa aerea. Ma entrare via terra in Libano combattendo contro Hezbollah è già un’altra storia, e forse anche scendere in guerra contro l’Iran, i cui missili l’ultima volta hanno bucato le difese aeree di Israele.
Sparare sui campi profughi di Gaza non è complicatissimo, proprio come bombardare il Libano privo di difesa aerea. Ma entrare via terra in Libano combattendo contro Hezbollah è già un’altra storia, e forse anche scendere in guerra contro l’Iran, i cui missili l’ultima volta hanno bucato le difese aeree di Israele
La seconda ragione sta forse nella particolare stagione che vivono gli Stati Uniti. Tra pochi giorni si vota per scegliere il presidente ed è chiarissimo che la Casa Bianca a trazione democratica non vuole ritrovarsi impelagata in un’altra guerra dopo quella in Ucraina. Presentarsi agli elettori non come il grande regolatore della politica internazionale ma come il protagonista di ogni conflitto non è l’ideale per attrarre il voto dei giovani e delle minoranze. Da qui a premere su Netanyahu perché non si presti ad accendere il cerino di un’ennesima, grande guerra mediorientale, facendo pesare la gran massa di aiuti militari forniti alle sue spedizioni su Gaza e sul Libano, il passo è breve.
Le elezioni americane
Forse conta, però, anche uno sguardo più lungo, di prospettiva da parte dei policy makers americani. Il recente summit dei Brics (l’Iran ne è membro) svoltosi in Russia ha mostrato che c’è una vasta parte di mondo (conta per il 36% del Pil e il 45% della popolazione globale) che ormai guarda all’Occidente a guida Usa in modo non necessariamente ostile ma di certo critico. Israele è percepito come la propaggine armata in Medio Oriente di questo predominio e l’Europa, in gran parte silente sulle stragi di palestinesi e libanesi, come la prima fiancheggiatrice. Il primato globale Usa è ancora indiscusso ma non è più quello di prima. E a Washington non hanno alcun interesse a spingere oltre certi limiti un sentimento di ribellione che già serpeggia oltre i soliti rivali Russia e Cina.
© RIPRODUZIONE RISERVATA