Il 4 novembre festa viva
per il futuro dell’Italia

Ci sono più di un motivo per non ritenere l’appuntamento della festa nazionale di Vittorio Veneto che abbiamo celebrato ieri, l’unica che ha attraversato un secolo di storia, non un «sepolcro imbiancato» ma qualcosa di vivo e necessario ancora oggi. Ce lo ha ricordato nel suo messaggio di ieri il Capo dello Stato Sergio Mattarella (che sempre ieri ha ricevuto la terza dose del vaccino, anche questa una forma di dovere di cittadino, nel rispetto della propria e dell’altrui salute, perché l’esempio deve partire dall’alto). Quest’anno si ricordano importanti anniversari: i 160 anni dell’Unità d’Italia, i 150 di Roma Capitale, i 75 anni della Repubblica nata dopo il referendum del 6 giugno.

Tutte date importanti che fanno parte del percorso storico di un Paese di etnie differenti, come quelle presenti nella Penisola nel 1860, che decisero di diventare una nazione e dopo un processo risorgimentale anche cruento, fatto di sacrifici e di vittime, diventare padroni del proprio destino.

Quella del IV Novembre è infatti una festa di coesione nazionale, simboleggiata da quel Milite Ignoto di cui ricorre proprio quest’anno il centenario della traslazione, altra importante ricorrenza. Cent’anni fa una madre di un soldato coraggioso caduto nella Grande Guerra (si chiamava Maria Blasizza Bergamas) scelse il decimo degli undici feretri di militi senza nome caduti sul fronte, dispersi sull’Altopiano di Asiago. Le cronache riferiscono che quella mater dolorosa stava per scegliere l’ottava poi un impulso irresistibile la chiamò verso l’undicesima salma coperta dal tricolore. Quel feretro attraversò l’Italia tra due ali di folla, sempre presenti di stazione in stazione (quel vagone è ora visibile nello scalo fiorentino di Santa Maria Novella) fino alla tumulazione finale all’Altare della Patria.

La Grande Guerra fu il conflitto che devastò un’intera generazione di giovani, quel milite fu considerato il figlio di un’Italia che aveva conosciuto pianti, dolori inconsolabili e ferite laceranti, vittime cadute in nome di strategie obsolete di generali che volevano i fanti andare incontro al macello delle mitragliatrici salendo su «materassi di cadaveri». L’Italia, durante il viaggio di quel Milite Ignoto, si ricompattò e ritrovò la sua unità nazionale in nome dei propri figli perduti, caduti nella logica della Prima Guerra totale, preludio alla Seconda, ancora più sanguinosa, dalle cui ceneri nacque la nostra Costituzione. Per questo il giorno che ricorda Vittorio Veneto è ancora oggi un «atto di restituzione» che unisce il nostro popolo.

La seconda ragione per credere in questa giornata è il nuovo ruolo delle nostre forze armate dopo decenni di immagine negativa, la stessa che nacque per via dello sciagurato comportamento della monarchia all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre. Oggi i nostri contingenti contribuiscono a mantenere la pace in vari posti del mondo, dal Niger al Kosovo, dall’Afghanistan al Libano. «Soldati, marinai, avieri, carabinieri - ha scritto nel suo messaggio Mattarella - finanzieri e personale civile della difesa, il vostro operato, espressione di valore, professionalità e dedizione, è riconosciuto e apprezzato quotidianamente.

Nazioni Unite, Alleanza Atlantica e Unione Europea, rappresentano i riferimenti della nostra politica estera e di sicurezza». In seno a questi organismi, al coraggio e alla professionalità delle nostre forze armate l’Italia opera, grazie al loro contributo, «come protagonista per il mantenimento della pace e della stabilità e per salvaguardare i valori di libertà, giustizia e cooperazione sanciti nella Costituzione». Altro che una data da ricordare sul calendario, è l’appuntamento di una nazione e del suo futuro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA