I valori
dell’Europa
nella ferita
afghana

Cos’è l’ Europa ? La risposta va cercata in Afghanistan. È qui dove i valori occidentali sono messi a dura prova. A vent’anni dall’invasione americana la coltivazione di oppio nel Paese asiatico è aumentata dal 200 al 300%. Con la vendita degli oppiacei i gruppi talebani hanno condotto la loro guerra e allargato il controllo del territorio. Da parte americana l’industria degli armamenti dal 2001 ad oggi ha visto salire il valore delle azioni del 690%. Chi avesse acquistato allora per un euro azioni di Martin Lockheed ora si vedrebbe arricchito di quasi 700 euro. I due estremi si toccano.

L’Occidente ha come fondamento il progresso che emancipa l’uomo dall’indigenza, ma poi conduce una guerra che arricchisce i boss della droga e i produttori e commercianti di armi. Entrambi venditori di morte. Una contraddizione. Agli americani bastava eliminare Bin Laden, come ammesso anche dall’ufficiale che prese parte all’operazione. Ma si è voluto continuare. Sono errori e anche peccati ma non sono esclusiva dell’America. In Cina ancora non è dato sapere cosa sia accaduto nei laboratori di Wuhan prima dell’esplosione della pandemia da Covid 19. In Russia i servizi segreti fanno il bello e cattivo tempo ed avvelenano oppositori politici anche all’estero. La differenza sta nel fatto che in Occidente la libertà di stampa permette di venire a sapere ciò che altrove è taciuto e nascosto.

Sono questi i valori dell’Occidente dei quali l’Europa prende il testimone. Il diritto della persona umana ad avere dignità è la conquista che va difesa. Le modalità della presenza americana in Afghanistan hanno portato a credere che i diritti individuali debbano viaggiare sui cingoli dei carri armati e sulle ali dei jet supersonici. Un grande equivoco che ha allontanato la popolazione afghana dal modello di vita occidentale. Nel mondo agricolo afghano al centro non vi è l’intangibilità dei diritti della persona ma la preservazione delle tradizioni fondate sulle etnie e sulle tribù. Qui è il sangue il valore che genera le gerarchie del vivere. Vuol dire che i presidi dell’eguaglianza si piegano a quelli della gerarchia tribale dove il sangue e la forza diventano espressione di identità culturale. Per l’Occidente è il ritorno al Medio Evo, per il mondo talebano l’affermazione della sacralità della vita eternata dai precetti di Maometto. Sono due mondi che non si parlano e segnano per la prima volta la sconfitta dell’esportabilità del modello di vita americano.

È in questa frattura storica che si inserisce l’intervento europeo. Se ne fa promotore il governo italiano con la presidenza di turno del G20. Sottrarsi al ricatto di chi con l’accusa di imperialismo intende annullare tutti i valori di convivenza civile è la missione. Una dimensione da condividere con i grandi della terra da Russia a Cina e India. Non stupisce che l’alleato americano sia riluttante. Arrivare a condividere con altri Stati concorrenti i destini dell’Afghanistan è un’umiliazione che una grande potenza egemone vorrebbe evitare. E tuttavia la tattica avvolgente del presidente del Consiglio italiano fa dell’Europa l’unico attore sulla scena in grado di dare continuità ai valori della cultura occidentale. E lo farà anche per conto della superpotenza alleata. Non è un mistero che questa guerra di logoramento sia stata condotta per venti lunghi anni nel segno utopico di esportare la democrazia con le armi. L’intervento in Iraq del 2003 è lì ancora a testimoniarlo. Bagdad rimane una polveriera dove il terrorismo la fa ancora da protagonista. Il cambio di passo richiesto da Draghi sta proprio qui. L’Europa può testimoniare i propri valori senza secondi fini e solo così ottenere il rispetto delle culture altrui.

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