I tanti nodi da sciogliere nella Lega dopo il voto

ITALIA. Sarà una calda estate in casa Lega. Un percorso ad ostacoli che potrebbe (mai come in questo caso il condizionale è d’obbligo) culminare in autunno con un congresso che ora come ora vede Matteo Salvini in lizza e nessuno sfidante credibile all’orizzonte.

Dalle urne dello scorso weekend il fu Carroccio esce da terza forza del centrodestra, superato per un nonnulla (uno 0,6% e qualcosa) da Forza Italia che a un anno (giusto oggi) dalla scomparsa del suo leader resiste e si consolida: un po’ ancora sulla scorta di un’onda emotiva decisamente lunga, un po’ per l’indubbia capacità di Antonio Tajani di abbassare i toni in un centrodestra che spesso privilegia il volume alto ed esternazioni talvolta abbastanza chiassose.

Nel giro di tre anni la Lega è passata dall’essere la forza trainante della coalizione al gradino più basso del podio, sorpassata da FdI che non accenna a rallentare la propria crescita. Ovunque. Soprattutto in quelle regioni del Nord che si pensavano feudo delle truppe salviniane. La Lombardia, ma anche quel Veneto che ha sempre fatto storia a sé pure nelle dinamiche interne leghiste e dove i meloniani hanno messo la freccia in modo parecchio deciso. Considerando che l’anno prossimo ci sono le Regionali da quelle parti, l’aria comincia a farsi pesantuccia.

Proprio dal bellicoso Veneto è arrivata l’indicazione del «doge» Luca Zaia sulla necessità di mantenere l’identità leghista per restare a galla: resistere cioè alla tentazione di allargare il campo oltre i tradizionali confini, come fatto in un recente passato con velleità nazionaliste o proprio nella tornata alle Europee candidando Roberto Vannacci, con annessi e connessi del caso. Vero che il generale ha rastrellato 500mila preferenze risultando eletto in tutte le Circoscrizioni e contribuendo al risultato di una Lega che in percentuale cresce rispetto alle Politiche del 2022, ma in valore assoluto perde voti e amministrazioni locali: restano però tutti i dubbi sulla gestione del personaggio e sulle ripercussioni interne al movimento.

Nell’attesa degli eventi Salvini prova ad abbozzare un’ampia alleanza di centrodestra in Europa, ma restringendo il perimetro dell’azione politica c’è anche da far fronte a un’innegabile scollamento a livello locale. Detto del Veneto e della Lombardia, a Milano città il Carroccio è sceso al 7° posto tra i partiti e nella Bergamasca ha lasciato sul campo diversi comuni. Qualcuno già in fase di ripartizioni interne alla coalizione, come Seriate che guidava ininterrottamente dal 1995, altri nelle urne: nell’immaginario collettivo ha colpito il caso di Pontida, sede del pratone sacro ai leghisti, ma politicamente parlando la lista è ben più corposa e allarmante.

A cominciare dall’ennesimo tentativo fallito di (ri)conquistare Palafrizzoni e di una campagna elettorale che ha dimostrato notevoli limiti di visione, dove la Lega e i suoi vertici cittadini sono stati da subito in prima fila a sostegno di Pezzotta, forse più delle altre forze del centrodestra. Il risultato è stato oggettivamente deludente e senza spunti programmatici degni di nota, con un’attenzione oggettivamente eccessiva (a tratti ossessiva) ai social e poco alla realtà. Quella vera, non quella percepita. Atteggiamento tra l’altro proseguito dopo la sconfitta, con poca autocritica da parte degli aficionados.

O almeno quelli che fanno politica più con la tastiera che non nelle sezioni, dove invece c’è molta preoccupazione per un movimento che comincia a segnare il passo anche nelle roccaforti e che non più tardi del novembre 2022 nella Bergamasca ha eletto un segretario per solo 8 voti di differenza. Vero che come diceva Winston Churchill ne basta uno solo per governare, ma è anche il segnale di diverse tensioni interne pronte a riaccendersi dopo il risultato elettorale. E i meloniani ormai in fuga, con il doppio dei consensi di una Lega che una volta da queste parti dominava.

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