I Talebani
non cambiano

La diplomazia dei Talebani 2.0 rischia di giorno in giorno di rivelarsi analoga a quella dei loro padri spazzati via dall’intervento degli americani e dei loro alleati post 11 settembre. Le aperture manifestate dopo l’avvento al potere lasciavano ben sperare, soprattutto per i nuovi assetti geopolitici – le pressioni di Cina e Pakistan per un regime «moderato» – ma in pochi giorni hanno seguito la stessa sorte della politica interna, sempre più radicale, misogena e spietata, con i regolamenti di conti nei confronti dei collaboratori dell’Occidente, l’applicazione letterale e distorta in senso oscurantista della sharia, le norme liberticide, le vessazioni sulle donne. Il nuovo regime ha persino disposto il divieto di tagliarsi la barba, annunciando provvedimenti severi per chi «imita lo stile americano». E ora anche sul fronte diplomatico i Talebani hanno gettato la maschera.

L’Afghanistan infatti si è ritirato dalla lista degli interventi al dibattito dell’Assemblea Generale dell’Onu nella giornata conclusiva dei lavori. La portavoce del presidente, Monica Grayley, ha confermato: «Abbiamo ricevuto informazioni che lo Stato membro ha ritirato la sua partecipazione al dibattito, prevista per oggi». La ragione è semplicissima, nello stile ruvido del nuovo governo, che vede metà della compagine ministeriale fatta da ex detenuti di Guantanamo. Secondo il programma doveva intervenire l’ambasciatore Ghulam Issaczai, nominato dall’ex presidente Ghani. I talebani però stanno tentando di cacciarlo e assumere il controllo del seggio alle Nazioni Unite. Il ministro degli Esteri talebano Amir Khan Muttaqi aveva chiesto di parlare in Assemblea Generale, oltre ad aver nominato Suhail Shaheen come nuovo rappresentante. Non essendoci riusciti, poiché il Palazzo di Vetro impone il rispetto del diritto internazionale, se ne sono andati sbattendo la porta. Questo significa che il nuovo governo non ha nessuna intenzione di mediare, di arrivare a un compromesso con il precedente regime.

Del resto bastava dare un’occhiata alla composizione del nuovo governo. Nessuna donna nella compagine dei ministri, com’era stato annunciato dalla propaganda e sperato dall’Occidente, ma vari nomi noti alle cronache del terrorismo: la stessa carica di primo ministro va al mullah Mohammad Hassan Akhund, già capo del Consiglio direttivo dei talebani, la Rahbari Shura. Il suo vice è Abdul Ghani Baradar, tra i fondatori del movimento e negoziatore degli accordi del febbraio 2020 con gli Stati Uniti. Tra l’altro il nuovo primo ministro afghano figura nella lista dell’Onu di persone designate come «terroristi o associati a terroristi». Hassan è stato in passato consigliere politico del Mullah Omar, già leader dei Talebani, quello fuggito in motocicletta chissà dove al tempo dell’intervento angloamericano nel Paese, oltre che governatore di Kandahar e ministro degli Esteri negli anni del primo governo degli studenti coranici, tra il 1996 e il 2001. Con una composizione governativa del genere non c’era molto da aspettarsi sul piano della diplomazia.

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