L'Editoriale / Bergamo Città
Lunedì 30 Novembre 2020
I primi passi fuori da casa
e la giusta prudenza
Bergamo ha messo fuori il naso, con giudizio. Il primo giorno di «zona arancione» non è stato una sorta di «liberi tutti», proprio come aveva auspicato il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana. Gente in giro, certo, e meno male. Perché questo cambio di colore non può che comportare anche un cambio nella vita di tutti i giorni: ora, per uscire - entro i confini del proprio comune - non serve più il giustificato motivo e il modulino precompilato. Si può uscire anche solo per la voglia di due passi. La prima domenica è andata così. Gente, certo. Ma tutto sommato, e al netto di qualche irriducibile della mascherina indossata in modalità naif, Bergamo continua a comportarsi con senso di responsabilità. Ora sarà fondamentale proseguire così, perché la pandemia è tutt’altro che sconfitta, lo sappiamo.
Anche se i dati ci raccontano che Bergamo è l’8ª provincia in Italia con la minor incidenza di nuovi positivi negli ultimi 7 giorni, ed è addirittura la 4ª negli ultimi 14 (fonte dati: prof. Paolo Spada), anche se insomma questa seconda ondata ha girato lo sguardo da altre parti, abbassare la guardia è come il più classico dei moniti italiani: severamente vietato. Lo si deve, anzitutto, a chi nei nostri ospedali anche stavolta l’ondata l’ha vissuta tale e quale alla prima, soprattutto per curare i malati arrivati da altre province. Lo si deve a tutti coloro che per via delle misure restrittive hanno dovuto smettere di lavorare per settimane, e ora vedono i primi clienti che finalmente possono tornare nei negozi. Lo si deve a chi invece ancora non può lavorare, come i ristoratori. Lo si deve a chi ha tenuto aperto ma i clienti quasi non sa più cosa siano, come gli albergatori, o come chi ha investito nel ramo del turismo, o come chi lavora nel campo dello spettacolo, praticamente annientato.
Lo si deve agli insegnanti, che in buona parte sono tornati a parlare con tante faccine inscatolate in uno schermo. E lo si deve a quelle faccine, che la scuola hanno il diritto, una volta che i contagi saranno rientrati in un regime di sicurezza, di viverla come l’abbiamo vissuta tutti. Magari sgangherata e con i suoi mille difetti, ma una scuola fatta di persone, più che di password di zoom, meet, classroom e tutte le app che le stanno garantendo questa vita un po’ artificiale.
Vietato abbassare la guardia. Siamo in zona arancione, e viviamola: ne abbiamo diritto e in qualche modo ce la siamo anche «meritata». Ma viviamola con le stesse accortezze della zona rossa. Vale adesso come varrà quando – speriamo – la Lombardia sarà zona gialla. Perché è vero che alle porte ci sono i vaccini (e chi accampa dubbi si guardi su Raiplay la spiegazione data ieri sera su Raitre dal professor Roberto Burioni), ma prima dei vaccini siamo ancora disarmati, e l’unico scudo è la nostra prudenza. Perché anche se magari l’abbiamo scampata fin qui, ogni momento può essere quello buono per farsi far gol dal Covid nel più classico dei contropiede. Pensateci. Tutti abbiamo un amico o un conoscente che ci dice: «Ci sono stato attentissimo, ma l’ho preso, non so come». Il «non so come» è la forza del Covid, e anche adesso che forse vediamo la luce in fondo al tunnel non bisogna smettere di giocare la partita con le armi che abbiamo: igiene, mascherina, distanziamento. Certo che non ce la si fa veramente più a non salutarsi, non abbracciarsi, a spremere le batterie degli smartphone per alimentare parte della vita familiare e per coltivare le amicizie. Ma è la storia di questo tempo, e quanto più si insisterà nei sacrifici tanto più avvicineremo il traguardo finale di questo tempo maledetto.
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