I piazzali pieni di auto ma Berlino tira dritto

MONDO. La crisi dell’economia tedesca è strutturale. Per il secondo anno consecutivo la Germania va in recessione: 0,2% in negativo rispetto alle previsioni di un più 0,3%.

Un’indiscrezione riportata dal giornale Süddeutsche Zeitung che conferma i dati degli analisti. Lo sviluppo tedesco degli ultimi decenni è legato essenzialmente all’auto: 800mila posti di lavoro che adesso sono in forse. Volkswagen ha già reso noto che intende ridurre gli impianti in Germania. A Wolfsburg 15mila posti di lavoro sono in esubero perché i piazzali delle fabbriche sono pieni e le auto simbolo della perfezione meccanica tedesca in panne. Le ha appiedate l’elettrico. Inebriati dai loro successi, i manager e i politici tedeschi si ritenevano imbattibili. Hanno puntato sul diesel al punto da manomettere le emissioni e l’hanno fatto proprio dove non avrebbero mai dovuto osare. In quell’America che mal digeriva la dominanza di un Paese sconfitto che adesso ritorna vincitore.

Il trucco delle emissioni

I tedeschi sono tecnicamente troppo bravi per poterci bere assieme una birra senza pensare che il conto poi ti ricada sulle spalle. Così quando l’agenzia per l’ambiente americana scopre il trucco delle emissioni, per l’industria automobilistica tedesca è l’inizio della fine.

I tedeschi sono tecnicamente troppo bravi per poterci bere assieme una birra senza pensare che il conto poi ti ricada sulle spalle. Così quando l’agenzia per l’ambiente americana scopre il trucco delle emissioni, per l’industria automobilistica tedesca è l’inizio della fine.

Tesla è già in marcia senza che a Berlino abbiano mai pensato a cogliere il salto di epoca. C’è voluta la guerra in Ucraina per far capire che non vi è abilità tecnica che tenga se non è fondata sull’indipendenza energetica. La Germania è la prima vittima eccellente del mondialismo globalista. La convinzione che la neutralità del prodotto si trasfonda anche nelle culture e le asserva al ruolo di clienti. Era passato il luogo comune che la politica, le tradizioni, le lingue, le culture contano, ma alla fine è il mercato che decide. I fatti smentiscono. In Cina le immatricolazioni sono passate dal 90% di solo quattro anni fa per i motori a combustione al 60%, il resto è elettrico. Il mercato dove Volkswagen prima dominava adesso registra la crescita dal 2020 ad oggi dei produttori cinesi, una percentuale che è passata dal 20% al 50%. Ed è in continua crescita. I prodotti tedeschi sono diventati meno appetibili per il caro energia e per i ritardi nella tecnologia e nella produzione dell’elettrico.

. Le ferrovie tedesche sono un incubo per i viaggiatori, accumulano ritardi e hanno strutture tecnologiche vecchie, la digitalizzazione è ferma al palo, la scuola in forte ritardo informatico e la formazione di insegnanti arranca

Adesso il governo tedesco non vuole dazi sulle auto cinesi. Pensa alle auto tedesche che a sua volta verranno colpite dal contro-dazio di Pechino. Convinto di potercela fare da solo, il governo Scholz non capisce che essere andato in minoranza a Bruxelles è un segno dei tempi. Nella capitale Ue i tedeschi non dettano più la linea, la devono condividere. Difendersi dalla concorrenza cinese vuol dire far prevalere la ragione geo-politica su quella economica. Non ci si può esporre a nuovi ricatti cinesi così come la Germania si era esposta a quelli di Putin.

L’arte di governare

Una lezione che a Berlino faticano ad imparare. Scholz è allievo di Merkel nell’arte di governare. Tende a minimizzare, a mediare in un’era dove la mediazione non sembra più di questo mondo. Le ferrovie tedesche sono un incubo per i viaggiatori, accumulano ritardi e hanno strutture tecnologiche vecchie, la digitalizzazione è ferma al palo, la scuola in forte ritardo informatico e la formazione di insegnanti arranca. Tutti settori strategici che richiedono investimenti enormi. Draghi li ha contabilizzati nell’ordine di 800 miliardi all’anno per tutta Europa. I tedeschi per timore di far un favore agli spendaccioni del Sud Europa si costringono in casa al pareggio di bilancio e non vogliono emissioni comuni di titoli europei. Ma se non si crea una Silicon Valley europea in grado di far fronte ai giganti americani e cinesi a chi dovrà chiedere il permesso Berlino per costruire la macchina a guida autonoma che segna la nuova era dell’intelligenza artificiale?

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