L'Editoriale
Sabato 01 Febbraio 2025
I pentiti della Brexit ma senza retromarcia
MONDO. Sarà che di tensioni internazionali abbiamo fatto il pieno, che i problemi economici non mancano e che tutti gli sguardi oggi rimbalzano tra Washington, Kiev e Mosca, ma tutti abbiamo fatto più o meno finta di non ricordare che giusto cinque anni fa, giorno più giorno meno, la Gran Bretagna salutava l’Europa e imboccava la via della Brexit.
Insalutata ospite, come si dice, perché un vero rapporto, tra noi del continente e loro delle isole, non era mai nato. Qualche interesse economico in comune e poco più. Loro, poi, convinti che una volta liberi dalle pastoie burocratiche imposte da Bruxelles si sarebbe aperta una nuova età dell’oro. A richiamare l’attenzione è così arrivato un sondaggio di «YouGov» che ci racconta quanto segue: i britannici tuttora convinti che la Brexit sia stata una buona cosa sono scesi al 30% mentre sono saliti al 55% quelli che vedrebbero volentieri un rientro del loro Paese nei ranghi della Ue. Tra questi c’è una folta pattuglia di «pentiti», un 20% che votò a favore della Brexit. Ma solo il 39% degli interpellati sarebbe disposto a impegnarsi, personalmente e politicamente, per favorire il ritorno nell’Europa comunitaria.
Il dietro front è escluso
In nessuna parte del mondo i sondaggi possono esser presi come verità assolute. Al più, possono essere interpretati oltre la fredda contabilità dei numeri. A noi pare che questo, nello specifico, dica soprattutto due cose. La prima è che per quanto sia complicato entrare nella Ue, uscirne senza conseguenze è ormai praticamente impossibile. Ci vollero tre anni, dopo il referendum del 2016 in cui il 52% dei britannici votò per l’uscita, per rendere davvero effettiva la Brexit, tra picche e ripicche, condizioni, trattati, norme da adeguare. E la cosa avrebbe dovuto farci riflettere. La seconda cosa è che la sfiancante procedura per concretizzare la separazione tramuta in un mero sogno l’idea di fare marcia indietro. I britannici possono anche essere pentiti di ciò che decisero nel 2016 e portarono a termine nel 2019 ma non mostrano alcuna effettiva volontà di riavvolgere il filo dell’europeismo. Non c’è movimento che ne faccia davvero propaganda, non c’è vero sentimento nella popolazione, non c’è segnale di decisione politica. Lo stesso premier Keir Starmer esclude il dietro front e semmai parla di qualche forma di nuova e più benevola intesa con la Ue, ben sapendo che si tratta di un mero wishful thinking.
L’alleanza con gli Usa
Il problema vero della Gran Bretagna, e dei mediocri governanti che dalla Brexit hanno provato ad amministrarla (David Cameron, Theresa May che fu forse la meno peggio, Boris Johnson, Liz Truss, Rishi Sunak e ora Starmer), non sta nelle conseguenze della Brexit ma nella sua premessa: e cioè che fosse possibile ricreare un’alleanza privilegiata con gli Usa come ai tempi di Bush e Blair, e all’ombra del grande fratello americano creare una sorta di patto di ferro transatlantico, garanzia di prosperità. Ma le cose sono andate ben diversamente. Dal punto di vista strategico gli Usa hanno fatto fiorire in Europa nuovi e, alla luce della guerra in Ucraina, più preziosi alleati, per esempio la Polonia. E dal punto di vista economico la Gran Bretagna ha condiviso il declino dell’Europa, di cui replica pari pari le incertezze e i problemi. Non solo. Come chi si avvicina troppo al sole, schiacciandosi sull’amico americano la Gran Bretagna ha finito per subirne la forza d’attrazione. Essendo gli Stati Uniti il mercato più grande e ricettivo per le merci britanniche (21% dell’intero traffico commerciale nel 2022), molte aziende inglesi hanno deciso di impiantarsi oltre oceano, saltando a piè pari le difficoltà del Vecchio continente. E ora, con Donald Trump che promette sgravi fiscali per le aziende sul territorio americano e dazi contro quasi tutti (Europa compresa), il processo può solo accelerare.
Lo sa bene la City. Il londinese «Financial Times» ha raccontato come in breve tempo società che capitalizzano 280 miliardi di sterline si siano spostate su Wall Street. E come quasi 400 tonnellate di oro fisico prima depositate a Londra siano andate ad alloggiare alla Comex, la Borsa merci di New York. Alla fin fine, quindi, il sondaggio di cui sopra diceva la verità. Non di pentimento o di rabbia si tratta ma del sentimento oltre Manica più diffuso: lo scoramento.
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