I pendolari e la sfida
di un futuro più mobile

Forse è presto per dire se siamo sul binario giusto, anzi sicuramente. Ma i dati dei primi mesi di Trenord fanno ben sperare per una progressiva inversione di tendenza e il ritorno a quei livelli di servizio che i pendolari lombardi chiedono da tempo. E che meritano per più di una ragione: in primis il rispetto per chi passa sui treni almeno due ore (salvo ritardi) della propria giornata, pagando un biglietto. Ma anche - e soprattutto - per l’infinita pazienza che hanno dimostrato in questi anni e che continua comunque anche di questi tempi.

Per intenderci, carrozze senza aria condizionata, viaggi stipati come sardine, ritardi e guasti ci sono ancora, e la stagione estiva non depone a favore di una normalizzazione. Anche solo per il fatto che l’età media del parco Trenord è sì di 17 anni, ma il dato è fortemente influenzato dal parco rotabile di Fnm che si aggira sui 10-12: il grosso è tutto made in Trenitalia, e va per i 35 anni d’età.

Dati che escludono a priori la presenza di aria condizionata a bordo, nella grande maggioranza dei casi: al massimo si tratta di successive applicazioni posticce. Che al tirar delle somme funzionano pochino.

Sempre i numeri dimostrano però che qualche risultato sul versante dei ritardi e delle soppressioni è stato raggiunto. Il dato delle linee interessate dal bonus è emblematico in tal senso: dai 18 erogati per il servizio di dicembre siamo passati ai 5 di marzo. E, udite udite, da febbraio la Bergamo-Milano è uscita da dietro la lavagna. Dove continua invece a restare, drammaticamente, la Brescia-Bergamo-Lecco, che a settembre festeggerà i 2 anni ininterrotti di bonus. E purtroppo non c’è nulla che faccia sperare il contrario.

Chiaro che chiedere ai pendolari di avere ancora pazienza sa un po’ di beffa: il problema non sono i 2-3 anni di orizzonte temporale tracciato da Marco Piuri, ad di Trenord, per avere miglioramenti tangibili, bensì il fatto che sia stato già precedentemente indicato dai suoi predecessori. Da Legnani a Biesuz passando per la Farisé. Ma a botte di 2-3 anni alla volta siamo arrivati tranquillamente a 10 senza vedere miglioramenti di sorta: da qui la legittima esasperazione di chi, ogni giorno, passa parte della sua vita in treno, e nemmeno tanto comodo.

Non tocca a noi dare fiducia a credito a chicchessia, tantomeno a Trenord: ci limitiamo ad osservare che da qui ai prossimi due-tre anni dovrebbero arrivare qualcosa come 185 nuovi treni tra i Tilo, quelli della Regione e quelli di Trenitalia. In sostanza vuol dire rinnovare metà dell’attuale flotta, mandando a rottamare quelli più vecchi. Non tutti li vedremo sulle linee bergamasche (che rappresentano il 5% degli 800mila e rotti viaggiatori di Trenord), ma qualcuno sicuramente sì. E se il trend della puntualità dei recenti bonus verrà confermato, sarà un altro passo avanti.

Ma per estrema correttezza, i treni nuovi, seppure fondamentali, da soli non bastano. Sempre i numeri dimostrano come oltre metà (più probabilmente i 2/3) dei passeggeri lombardi graviti su Milano, e ogni pendolare anche di breve corso sa bene che appena il treno si avvicina alle porte della metropoli cominciano i guai. E le soste forzate. Gli upgrade tecnologici sono in corso di realizzazione, ma spazi per potenziamento delle infrastrutture (leggi nuovi binari) sono difficili da immaginare.

E allora, dopo i treni (o forse persino prima) servono le idee e il coraggio: quello di ripensare un sistema milanocentrico ormai arcidatato e non più sostenibile nei fatti, a fronte di una domanda di passeggeri che sarà comunque in crescita esponenziale e probabilmente diversa nelle forme e nelle esigenze. Diversamente, tra cinque anni i pendolari saranno tutti al fresco sui treni nuovi, ma ancora in perenne attesa di un Godot fermo alla stazione.

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