L'Editoriale
Domenica 18 Settembre 2022
I macigni di Draghi correggono la rotta
A volte anche i banchieri tirano sassi. Nel caso del premier Mario Draghi - protagonista probabilmente della sua ultima conferenza stampa in questa veste - macigni, come quelli lanciati ieri. Il più grosso, destinato a rotolare in Parlamento: «C’è chi parla di nascosto ai russi, ma la democrazia italiana è più forte di pupazzi prezzolati». Probabilmente il presidente del Consiglio non avrebbe mai fatto una battuta del genere se fosse stato nel pieno del suo mandato.
Ma ormai mancano una manciata di giorni alle elezioni anticipate e di conseguenza poche settimane all’incarico di un nuovo premier. Draghi ha già detto che non è disponibile a un secondo mandato. Del resto sarebbe assurdo. Tirar giù in anticipo un Parlamento e un governo per poi tornare allo stesso governo come nel gioco dell’oca? E dunque - ormai in carica solo per gli affari correnti - può concedersi di tirare fuori qualche sassolino nella scarpa, utilizzando un linguaggio più libero. Più che sassolini però, come abbiamo detto, macigni, anzi «missili» a ben vedere.
Naturalmente tutto parte dalla storia dei fondi russi. Draghi addirittura rassicura l’opinione pubblica («a Washington mi hanno confermato l’assenza di forze politiche italiane nella lista di chi ha beneficiato di fondi russi»). Dunque la sua battuta rivolta a «chi parla di nascosto ai russi» è ancora più sferzante. Significa che c’è chi si offre per fare da amico del giaguaro ma in fondo nemmeno ci riesce. Però aggiunge che la Russia in questi anni ha effettuato un’opera continua di corruzione «in tanti settori in Europa e negli Stati Uniti». La cosa sarà anche risaputa ma è abbastanza inquietante. L’avesse detto al bar qualcuno ci si poteva passare sopra. Ma l’ha detto il presidente del Consiglio, che guida una compagine ministeriale in cui c’è anche il responsabile dei servizi di sicurezza. I casi sono due: o è una voce dal sen fuggita o sarebbe meglio approfondire. Magari davanti a una commissione parlamentare, a cominciare dal Comitato parlamentare per la sicurezza del Repubblica (il Copasir). Sarebbe interessante capire cosa è successo in questi anni in cui la globalizzazione ha sostituito, almeno apparentemente, i blocchi Est-Ovest e in questi mesi tutto è tornato come prima secondo le incrollabili logiche geopolitiche.
Draghi in procinto di partire per l’America, parlerà all’Assemblea generale dell’Onu e promette di descrivere un Paese resiliente, che sta crescendo «con una cifra sociale che è stata la cifra del mio governo». Ma nel cortile di casa è stato molto meno olimpico. Ieri ne ha avuto per praticamente tutti i leader di partito, quelli, che detto per inciso, lo hanno liquidato senza mezzi termini dopo aver dato un’occhiata ai sondaggi, incuranti della situazione drammatica in cui ci troviamo e ci troveremo: fondi del Pnrr e ripresa da gestire, post pandemia, guerra in Ucraina, inflazione, emergenza energetica, crisi del gas e delle bollette. Non le ha risparmiate alla Meloni, che sulla linea di Orban è altalenante. E poi c’è l’enigma Salvini. È a lui che si riferisce quando dice: «C’è quello che ama i russi alla follia e vuol togliere le sanzioni e parla tutti i giorni di nascosto con i russi… c’è pure lui, ma c’è tanta gente che non lo fa, cioè la maggioranza degli italiani». Ce n’è anche per Conte, che si dice inorgoglito dell’avanzata ucraina ma non vuole l’invio delle armi a Kiev: «Si voleva forse che l’Ucraina si difendesse a mani nude? Forse sì».
Draghi nel ruolo di «outspoken» non lo avevamo mai visto. E fa davvero impressione. Ma non dovrebbe limitarsi a lanciare sassi nello stagno della Repubblica.
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