L'Editoriale / Bergamo Città
Domenica 26 Aprile 2020
I lavoratori in nero e sfruttati nei campi
La giustizia negata
La più recente operazione contro il caporalato risale a giovedì scorso, quando le forze dell’ordine nelle campagne di Latina hanno arrestato i due titolari di aziende agricole che sfruttavano decine di braccianti di origine indiana, costretti a lavorare per dieci ore al giorno senza copertura sanitaria né riposi. A Fondi, paese sempre nella zona di Latina, c’è il più grande mercato ortofrutticolo d’Italia, il secondo in Europa: qui lavorano almeno 7-8 mila altri indiani, privi di regolare contratto e in condizioni abitative penose. Nel nostro Paese si stima che siano 50-60 mila i braccianti in nero addetti alla raccolta di frutta e verdura. Sul tavolo del governo c’è una bozza di legge per la concessione del permesso di soggiorno ai lavoratori che ne sono privi.
L’articolo 7 esclude dal provvedimento destinatari di espulsioni, condannati o soggetti pericolosi per la sicurezza dello Stato. Ma questa precisazione non basterà a disinnescare i prevedibili attacchi di Lega e Fratelli d’Italia, avversi ad ogni regolarizzazione di migranti «clandestini», anche se ridotti in schiavitù da imprenditori delinquenti. Eppure le più grandi sanatorie nel nostro Paese sono state promosse dal centrodestra con i governi Berlusconi e il leghista Roberto Maroni ministro dell’Interno: nel 2002 (750 mila persone) e nel 2006 (760 mila). Ma quella era un’altra destra.
Dal mondo dell’associazionismo cattolico è partita una richiesta al governo per la concessione di un permesso di soggiorno a tutti i 600 mila migranti irregolari stimati in Italia (100 mila generati dal decreto Salvini che ha cancellato il permesso per motivi umanitari). Sono persone che in buona parte vivono in strada e prive di copertura sanitaria. Nel pieno dell’emergenza coronavirus possono rappresentare fonte di contagio. Proprio il decreto Salvini prevede la possibilità di un permesso di soggiorno per calamità. E il Covid 19 è una calamità. Le associazioni si sarebbero fatte carico dell’accoglienza. Ma il governo non intende sfidare l’impopolarità di un tale provvedimento che genererebbe frizioni anche all’interno della maggioranza (una parte dei 5 Stelle è contraria). Il Portogallo invece ha scelto la strada opposta. Le espulsioni, costose e subordinate a onerosi accordi con i Paesi di provenienza dei migranti, sono ferme in Italia per via della chiusura degli aeroporti per il Covid 19. Nel 2018, i rimpatri forzati sono stati 6.820 e quelli volontari 1.161 per un totale di 7.981, mentre nel 2019, al 22 settembre, sono stati rimpatriati forzatamente 5.044 immigrati e disposti 200 rimpatri volontari e assistiti, per 5.244 persone complessive. Nel 2019 gli arrivi sono stati circa 9.600 rispetto ai 22 mila del 2018. Non c’è alcuna invasione quindi. Con l’emergenza sanitaria inoltre si è fermato il flusso dei lavoratori comunitari (soprattutto romeni) per la raccolta di frutta e verdura. Senza gli stagionali la Coldiretti ha stimato che si rischia di perdere il 35% del raccolto. Per evitare questo spreco in tempi di magra si potrebbe ricorrere a italiani che hanno perso il posto nelle settimane di quarantena (se disponibili al mestiere) o agli extracomunitari già presenti sul nostro territorio e regolarizzati. Il governo intende concedere il permesso di soggiorno anche a badanti, collaboratrici domestiche e baby sitter che ne sono prive. La stima complessiva riguarda almeno 300 mila migranti. Ciò produrrebbe un gettito fiscale a favore dello Stato di 1,2 miliardi di euro, più 150-300 milioni una tantum per gestire le pratiche.
Le regolarizzazioni hanno un punto debole: richiedono la disponibilità del datore di lavoro (il nero è concentrato nell’agricoltura, 23%, nell’edilizia, 16%, e nei lavori domestici, 58%), al quale spesso fa comodo un «dipendente» illegale perché accondiscendente. Il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha dichiarato che la lotta al sommerso riguarderà pure i nostri connazionali: ne va, oltre che delle entrate fiscali, soprattutto della dignità delle persone. Un’ingiustizia a cui porre rimedio.
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