L'Editoriale / Bergamo Città
Domenica 28 Ottobre 2018
I giovani chiedono
adulti credibili
Si chiude il Sinodo dei giovani; nascono molte domande: a cosa è servito? Che cosa ci dirà? C’è bisogno di tempo: il documento finale è da leggere, ma nelle sue pieghe c’è qualcosa che va riconosciuto e interpretato. Non è inutile tornare al punto di partenza: una sensazione diffusa che rimandava alla questione sul cosa fare per ritrovare il legame con i giovani. È la percezione di una fatica che cresce nella Chiesa a generare una vita di fede. Poterne parlare con persone provenienti da tutto il mondo, aiuta a placare le ansie.
Non perché si possa evitare il problema, ma perché uno sguardo più ampio rivela la possibilità di trovare qualche strada. Credo che il Sinodo abbia messo in evidenza il «paradosso pedagogico» a cui oggi assistiamo. Gli adulti di oggi, giovani fino a ieri, sono cresciuti con uno schema ben preciso: i grandi sanno, quindi dicono ai piccoli cosa devono fare; chi cresce è sguarnito, chi è maturo è attrezzato. Per la prima volta, nella storia, l’azione educativa deve prendere atto che non è più così: chi è giovane ha già a disposizione molte delle informazioni che l’adulto vorrebbe consegnare. Anzi: sono i più giovani che spesso hanno in mano le chiavi per comprendere questo tempo e per interpretarlo. Gli adulti sono abbastanza spiazzati.
Facciamo un esempio: la rete che la tecnologia mette a disposizione e le conseguenze sul piano delle relazioni. Per esorcizzare l’incapacità a districarsi nella grande matassa di informazioni che viaggiano nel web, gli adulti spesso descrivono con toni apocalittici i pericoli connessi alla navigazione in internet o all’uso dei social. Non vogliamo essere ingenui: ma siamo sicuri che siano i ragazzi quelli che ci cascano per primi? La vita sociale e politica, a cui assistiamo ci dice che è il contrario: sono gli adulti che fanno fatica a mantenere lucida la propria capacità critica. Ammesso che i giovani non ne abbiano (e mi pare che non sia così, ma che sappiano «abitare» questo mondo con più anticorpi di noi adulti), nella migliore delle ipotesi essi non faranno altro che replicare ciò che vedono negli adulti. Non c’è convegno sul bullismo che vada deserto: ma ci siamo mai chiesti se ha senso desiderare di vedere preadolescenti e adolescenti nei panni di miti santarellini, quando il mondo degli adulti non sa più confrontarsi se non attraverso un linguaggio e gesti pieni di violenza?
Non si tratta di spostare il problema: si tratta di prendere atto che non abbiamo più a che fare con generazioni di piccoli ingenui (tale io non ho paura a definirmi, se ripenso alla mia giovinezza). Dunque, proprio perché diciamo che la fede è questione di senso della vita, a maggior ragione la Chiesa deve seriamente porsi il problema di come si presenta a questo tempo e alle persone che lo vivono. Proprio per questo nel Sinodo sono emerse questioni urgenti che riguardano gli adulti: la loro credibilità in tema di fede e di vita, la gestione delle strutture ecclesiali e la capacità di mostrare che il potere nella Chiesa deve essere anzitutto un servizio, il ruolo della donna all’interno di essa, l’accoglienza delle fragilità e marginalità nella cura dei più poveri. E soprattutto la disponibilità (prima ancora che la capacità) a farsi compagni di viaggio che sanno ascoltare le domande dei giovani prima di correre a offrire risposte.
Sembrerà strano, ma è su questo terreno che si gioca la partita di una Chiesa che vuole tornare a incontrare i figli di questo tempo. Le loro relazioni rischiano di smaterializzarsi sempre di più: i social rimangono il terreno di incontro per loro più spontaneo. Ma è pur sempre il corpo che resta l’origine di ogni stupore.
Un «corpo» che per funzionare deve riconoscere l’esigenza di mettere in connessione fra loro le membra, riconoscendo il bisogno e la funzione di ciascuna. Dunque nell’iniziare ad accettare che noi potremo seriamente educare i giovani se saremo disponibili anche a lasciarci educare da loro. Nel dispiegarsi dei dialoghi e dei confronti, sono emerse perplessità sullo stile sinodale che il Papa ha più volte indicato per la Chiesa di oggi. Uscendo dall’ecclesialese: se non sapremo trovare una forma di vita comunitaria più credibile e in essa la possibilità di vivere esperienze più fraterne (dunque con uno stile anche critico nei confronti di un mondo che va nella direzione di un individualismo esasperato), potrebbe davvero essere compromessa la consegna del Vangelo alle nuove generazioni. Non si tratta di tecniche animative o di metodi accattivanti per radunare giovani. Si tratta di una vera e propria conversione a cui gli adulti sono chiamati. In fondo è l’appello più radicale del Vangelo; lo è fin dalle sue origini.
Un pensiero, davvero, consola al termine di questo Sinodo: non è davvero mai troppo tardi per poter riannodare i fili della vita con la presenza di Gesù nella storia. Le depressioni pastorali non sono ammesse: ricordano troppo un aratro lasciato a terra.
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