I frutti superano
le promesse dei fiori

Carissimo Vescovo Francesco, pochi giorni fa, incontrando a Chiuduno i membri dei Consigli Pastorali Territoriali, Lei ha proposto come modello, per il prossimo cammino pastorale, la figura di Abramo, invitandoci ad avere fiducia nel futuro che Dio ci prepara e a credere che è Lui ad inviarci verso la vita piena. A partire da questa sollecitazione le esprimo, a nome dell’intera Diocesi, il grazie più sincero e profondo per i dieci anni trascorsi a servizio della nostra Chiesa. Le molteplici ragioni della nostra gratitudine le riassumo così: «I frutti del suo ministero hanno superato le promesse dei fiori».

Normalmente questa frase è utilizzata con il verbo al futuro: «I frutti supereranno le promesse dei fiori». Sperando di non essere presuntuoso, la uso con il verbo al passato per indicare l’apprezzamento crescente dovuto al suo instancabile ministero che sorprende per la vitalità e il coraggio. Il suo ingresso a Bergamo dieci anni fa venne accompagnato da una folla numerosa di fedeli, di sacerdoti, di religiosi, di seminaristi, di autorità, e da attese, prospettive, speranze. Quali erano allora le «promesse dei fiori»? Erano le qualità umane della sua persona, la sua cordialità, la sua simpatia, la sua passione per la ricerca.

Erano le molteplici esperienze pastorali da lei vissute a Brescia: responsabile della pastorale giovanile in due oratori, Direttore dell’Ufficio Famiglia, Direttore del Centro Pastorale Paolo VI, responsabile del giovane clero, Vicario Episcopale per i laici, Vicario Generale e Ausiliare. Erano infine le caratteristiche di un vescovo che non stava seduto, che amava camminare con i giovani, che guardava avanti, che osava aperture innovative.

Quali sono i «frutti realizzati» in questi dieci anni? Le mie sole valutazioni, pur attingendo alla frequentazione quasi quotidiana che ho con lei, sono insufficienti a descrivere la ricchezza del suo ministero episcopale. Oso proporne alcune nella speranza che altri ne aggiungano di più complete e pertinenti.

Valutare i frutti del suo ministero episcopale a Bergamo dopo dieci anni di presenza non coincide con un esercizio di statistica, né di conteggio amministrativo, ma consiste nell’assunzione di una prospettiva evangelica. Per un credente il proprio vescovo è un dono fatto dal Signore alla Chiesa particolare di cui fa parte. In questo senso il primo frutto della sua presenza fra noi è il cambiamento del nostro sguardo. Guardando a Lei come un dono che Dio ci ha fatto, avvertiamo che la Chiesa non sussiste innanzitutto per l’abilità organizzativa, intellettuale, o gestionale dei suoi pastori e dei suoi fedeli, ma per l’umiltà e la dedizione che caratterizzano il loro servizio al Vangelo. I frutti dell’amore e della dedizione discreta non sono misurabili, ma sono i più preziosi, sono quelli che danno maggiore futuro. Quale fedele può misurare i frutti del ministero del suo parroco? Quale giovane può misurare i frutti dell’impegno quotidiano del suo curato? Quale figlio può misurare i frutti dei sacrifici e delle rinunce dei suoi genitori? Quale battezzato o cittadino del nostro territorio può misurare i frutti della dedizione del suo vescovo? I nostri occhi non sono in grado di misurare l’intensità dell’amore speso per una comunità, di cogliere la sofferenza offerta nel silenzio, di conoscere il dono di sé presentato a Dio nella preghiera. Ma è a partire da queste dimensioni - definite dalla teologia come le virtù teologali - che si possono valutare gli altri frutti di progettualità e di guida pastorale. La Chiesa vive della santità, non delle attività. Come Maria. Mi pare di poter individuare alcuni dei frutti, o processi, che in questi anni lei ha testimoniato e avviato nella nostra Chiesa.

L’amore per il nostro tempo. Ho colto in Lei, che ha come suo grande maestro San Paolo VI, una sincera attenzione a comprendere i cambiamenti in atto, prima di giudicarli e tantomeno di condannarli. Lei ci sta insegnando ad abitare il nostro tempo non con lo stile dell’alternativa, della presenza, o della diaspora, ma della mediazione culturale, che si sforza di riconoscere i segni del Regno presenti in ogni contesto e in ogni persona.

L’apprezzamento per la storia della nostra Chiesa. Ho colto in lei una grande stima e un forte amore verso la nostra terra e la sua storia. Ancor prima del suo ingresso a Bergamo aveva letto le biografie dei vescovi suoi predecessori. Ha poi approfondito gli scritti e le pubblicazioni sulla spiritualità dei nostri santi, in particolare di San Giovanni XXIII. Si è spesso richiamato alle indicazioni dell’ultimo Sinodo Diocesano.

La cura della sinodalità. Ho colto in lei un crescente impegno a valorizzare gli organismi di partecipazione sia parrocchiali, sia diocesani; ad accrescere la corresponsabilità dei laici; ad incrementare lo scambio pastorale e spirituale all’interno delle fraternità presbiterali.

Il coraggio della missionarietà. Ho colto in lei una forte apertura missionaria. Maturata all’interno della sua stessa famiglia, si è accresciuta grazie ai viaggi nelle Missioni, all’incremento della cooperazione fra le Chiese, alla cura delle situazioni di marginalità e fragilità.

La fiducia nel futuro. Ho colto in lei, anche nell’urgenza di doversi misurare con i rapidissimi e radicali cambiamenti culturali e pastorali in corso, una costante fiducia nel futuro, nella capacità delle persone di rinnovarsi, nella disponibilità delle parrocchie ad incrementare le collaborazioni, una fiducia nella forza nella grazia, che apre orizzonti sempre nuovi.

Ai molti grazie che a nome di tutta la Diocesi desidero esprimerle, unisco un grazie personale per un frutto che ho colto in maniera crescente nel suo stile episcopale: la sua paternità. Un giorno ho partecipato, accanto a lei, a quattro iniziative pastorali diverse. Alla sera, mentre pensavo a quanto aveva detto in quelle riunioni, alle indicazioni che aveva offerto, ed anche ai silenzi che in qualche momento aveva conservato, mi sono chiesto: «Come fa il vescovo Francesco a lavorare così tanto? Come fa a passare da una riunione ad un’altra con continue richieste di decisioni da prendere? Come fa a conoscere personalmente e ad avere a cuore le situazioni di ogni suo prete?». Mi è parso di individuare il centro del suo ministero nella paternità spirituale, una paternità che affonda le radici quotidianamente nella preghiera e nell’Eucarestia.

Eccellenza, l’elenco di questi «frutti» che apprezzo non costituisce un bilancio, ma un rilancio. Se i frutti hanno superato, in lei, le promesse dei fiori, ci auguriamo che lo stesso avvenga anche per noi. In nome della sinodalità che ci ha insegnato, ci impegniamo ad accompagnare le sue proposte con una maggiore condivisione, una più attenta riflessione, un più sincero affetto e un’umile preghiera. Dio la benedica.

*Vicario generale della Diocesi di Bergamo

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