I fratellini morti in mare e il costo Albania

MONDO. Tre fratellini nigeriani di tre, due e un anno sono morti domenica scorsa all’alba nel Mediterraneo. Viaggiavano con i genitori su un barchino che dalla Libia doveva portarli in Italia, inghiottito invece dalla prepotenza delle onde.

La forza d’urto ha sbalzato i piccoli in mare: i soccorritori dell’organizzazione non governativa «Sea Punks» sono riusciti a trarre in salvo il papà e la mamma, hanno recuperato il corpo di un bimbo e un altro è disperso. Il piccolo di due anni era in fin di vita: è morto fra le braccia del medico che lo stava rianimando. Si può liquidare questa ennesima tragedia nel Mediterraneo ricorrendo alla diffusa categoria cinica del «se la sono cercata» o puntare il dito contro l’imprudenza dei genitori che si sono affidati a un viaggio pericoloso. Ma così non si verrà mai a capo del dramma che si consuma da almeno 30 anni sulle nostre coste e che dovrebbe interpellare le coscienze non solo di chi ha responsabilità politiche. Non saranno i giudizi freddi e disincantati a generare un’opinione pubblica consapevole di cosa c’è primariamente in gioco - la vita del prossimo - e per sollecitare risposte adeguate. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, negli ultimi dieci anni 30mila persone sono morte nel Mare Nostrum, 2.400 (120 minori) nel 2024.

Lo stato di salute del mondo

L’immigrazione dipende in primis da fattori esogeni agli Stati di arrivo: è un termometro della salute del mondo che in questa epoca è pessima fra guerre, terrorismo, instabilità politica e crisi alimentari irrisolte. Da questi grandi traumi si scappa e si continuerà a farlo fino a quando non avranno risposte adeguate. Migliorare lo stato di salute del mondo non è solo nell’interesse di chi è costretto a fuggire ma anche nostro, per garantire una sicurezza collettiva.

Migliorare lo stato di salute del mondo non è solo nell’interesse di chi è costretto a fuggire ma anche nostro, per garantire una sicurezza collettiva

Intanto salvare vite nel Mediterraneo dovrebbe essere una priorità morale dei governi e dell’Unione europea. Ma non lo è anche perché il consenso non si crea su questi temi e i naufragi sono considerati un «effetto collaterale» delle migrazioni. Che hanno andamento variabile: l’anno scorso gli sbarchi in Italia sono calati del 58% ma nell’ultima settimana sono approdate 2.600 persone, 1.400 solo nel weekend (+135% su gennaio 2024). Gli arrivi di questo mese sono avvenuti con partenze dalla Libia, mentre dalla Tunisia sono quasi azzerate, effetto del Memorandum siglato il 16 luglio 2023 dall’Ue (su pressione del nostro governo) con Tunisi, che ha sacrificato il diritto internazionale: nel Paese del Maghreb non è consentito fare domanda d’asilo, centinaia di fuggiaschi vengono respinti nel deserto, lasciati senza viveri né acqua.

Il caso Almasri

La ripresa degli sbarchi dalla Libia avviene invece in coincidenza con il caso Osama al-Najeem (conosciuto con il nome di battaglia di Almasri), ufficiale sotto mandato di cattura della Corte penale internazionale dell’Aja con l’accusa di crimini di guerra e contro l’umanità, ritenuto responsabile di aver ordinato ed eseguito omicidi, violenze sessuali e torture nelle carceri di Tripoli, in particolare in quella di Mitiga, dove vengono rinchiusi migliaia di migranti diretti in Europa. Arrestato a Torino il 19 gennaio scorso, è stato rilasciato dopo due giorni e accompagnato in Libia con un volo di Stato italiano. Al di là dei risvolti giudiziari che coinvolgono il nostro governo e dei loro sviluppi, il caso rientra nella ricattabilità dell’Italia da parte di Tripoli, da sempre in grado di aprire e chiudere i flussi migratori, nonostante il Memorandum fra i due Stati siglato a Roma il 2 febbraio 2017 dal governo Gentiloni.

I centri di detenzione in Albania

Intanto Palazzo Chigi ha dato seguito al terzo viaggio verso i centri di detenzione in Albania per 49 migranti, parte dei 945 intercettati al largo di Lampedusa dalle motovedette di Guardia costiera e di Finanza. Nei centri finora vuoti sono arrivate ieri il 5% delle persone di quel gruppo (quattro minorenni e un adulto vulnerabile peraltro già fatti rientrare in Italia), una percentuale irrisoria, dall’effetto deterrenza praticamente nullo ma che moltiplica costi già abnormi, prossimi al miliardo di euro. «Se anche andasse tutto come vorrebbe il governo - calcola Matteo Villa, direttore del Data-Lab dell’Ispi - e dunque a centri a capienza piena per tutto l’anno, spenderemmo 340 euro al giorno per migrante, oltre nove volte il costo dell’accoglienza in Italia, per ottenere un effetto dissuasivo nullo». Si aggiunge poi la questione decisiva del diritto: sul destino dei 49 migranti si esprimerà la Corte d’appello italiana, mentre il 25 febbraio prossimo arriverà il verdetto della Corte di giustizia europea sulla lista dei Paesi sicuri per i rimpatri. Il marketing politico può far vincere le elezioni ma ha un costo economico per tutti i cittadini e deve confrontarsi con il diritto, quel sistema di norme a tutela della vita delle persone che qualifica la civiltà alla quale ci vantiamo di appartenere.

© RIPRODUZIONE RISERVATA