I dubbi sulla manovra
Né rigore né sviluppo

Le manovre economiche che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni, si dichiaravano o austere o espansive. Quella che si delinea ora è difficile da definire. Non può essere di rigore e austerità, ma certamente non è di sviluppo. Siamo di fronte ad un inedito. Per ora, sembra «espansiva» in un altro senso, e cioè simpatetica verso settori e gruppi sociali che possono incidere sulla competizione tra i due partiti di governo. La manovra del popolo mette gli anziani contro i giovani, il Sud contro il Nord, gli evasori contro i diligenti, le partite Iva sotto soglia con quelle sopra, i pensionati d’oro con quelli di bronzo.

Manovra molto attenta, per motivi apparentemente nobili, a chi non lavora, e molto esigente con chi produce, e (magari) paga anche le tasse. Sempre gli stessi, su questo non si discute. Nella spartizione dei miliardi tra Di Maio e Salvini, i 10 di Di Maio sono per il reddito di cittadinanza, ma è davvero espansiva questa erogazione per teoricamente 6 milioni di persone? 780 euro per 6 milioni fa 50 miliardi circa, ne mancano 40. E con gli acquisti non «immorali» si può davvero rilanciare la domanda interna? Quanto a Salvini, i soldi per superare la Fornero andranno a 3/400 mila pensionati anticipati, che smetteranno quindi di pagare tasse sullo stipendio, ma non ci sarà l’automatico inserimento di giovani al loro posto. Non funziona così. La crescita c’è, ma solo nelle previsioni. Un Paese che ha vissuto di zero virgola per tanti anni, secondo il Def dovrebbe balzare all’1,5 nel 2019 e all’1,6 nel 2020.

Il motore di tutto questo dovrebbe essere proprio quel magico 2,4% di deficit aggiuntivo, che il ministro Tria definisce addirittura leva antidebito. Due suoi illustri colleghi, Alesina e Giavazzi, hanno scritto che spendere mezzo punto di deficit in più con «misure che non incentivano a trovare un impiego», è un «insulto all’intelligenza dei cittadini». Il presidente Boccia conferma: su 36 miliardi di manovra, solo 4 sono dedicati allo sviluppo.

È anche difficile capire quali siano, questi miliardi. Se si tratta di utilizzare una parte del programma già finanziato di opere pubbliche, i 15 di cui si parla in tre anni sono davvero pochi. E del resto conosciamo la riottosità dei 5 Stelle per qualsiasi investimento, Olimpiadi comprese.

E comunque occorre tempo per far entrare questi (eventuali) investimenti in un circuito di vera crescita. Un tempo ben più lungo di quello che impiegano i mercati per bruciare miliardi da ripagare in interessi o per inseguire lo spread, mangiandosi con nuovi debiti i penultimi debiti sottoscritti. Lo spread sopra 300 e i titoli biennali saliti di oltre 20 punti, sono ancora apparentemente lontani dal tracollo del 2011 (comunque al massimo storico da allora), ma gli esperti stimano che 500 punti base senza Qe equivalgano a 350/400 con Qe e ci siamo vicini. E il Qe comunque sta per chiudere i battenti. Di Maio ci invita a sorridere ma ancora non sappiamo nulla della parte non a debito di questo bilancio. L’indecoroso condono «senza finalità condonistiche» pare che per un paio d’anni sia a saldo sotto zero. Resterebbero i tagli, speriamo non solo quelli simbolici da applauso nei talk show o derivanti dal raschiamento dei barili ministeriali. A rischio il welfare? Tutti a sperare nel reddito di cittadinanza?

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