I diritti di Santanchè e i doveri del ministro

ITALIA. Strano modo di essere tranquilla, va detto.

Sì, perché Daniela Santanchè, in tutte le dichiarazioni rilasciate nei mesi scorsi circa l’inchiesta che la vede coinvolta per la supposta truffa ai danni dell’Inps, si è sempre detta, con la granitica sicumera che la accompagna in ogni uscita pubblica, totalmente tranquilla. Ricapitoliamo.

La ministra del Turismo rischia un processo perché, sostiene l’accusa, le sue società avrebbero intascato oltre 126mila euro dall’Inps per la cassa in deroga nel periodo del Covid, mentre però ben tredici dipendenti, tra il 2020 e il 2022, periodo in cui le società erano amministrate dalla medesima ministra, risultavano regolarmente al lavoro. Il fatto è stato denunciato da una delle dipendenti, e da lì è partita la valanga che rischia di travolgere la carriera politica - o quantomeno la poltrona in Consiglio dei ministri - della Santanchè.

Il nuovo avvocato Salvatore Pino

Che proprio proprio tranquilla non dev’essere, dato il colpo di scena di ieri. Ricapitoliamo bis. A poche ore dall’udienza - convocata per oggi - davanti al giudice per le indagini preliminari, Santanchè ha comunicato di aver sostituito uno dei suoi avvocati. Fuori Salvatore Sanzo, dentro Salvatore Pino, nome che i bergamaschi più attenti alle cronache ricorderanno per aver difeso Cristiano Doni, all’epoca capitano dell’Atalanta, nella complicata vicenda del calcioscommesse del 2011.

Il rinvio dell’udienza

La scelta ha una duplice funzione «benefica» per la ministra, al netto dell’evidente beneficio, dal suo punto di vista, di avvalersi un legale che reputa migliore. La prima conseguenza è che il nuovo avvocato ha chiesto e ottenuto un rinvio dell’udienza, perché chiunque capisce che non può un legale assumere un incarico tanto delicato oggi e presentarsi in un’udienza decisiva - proscioglimento o rinvio a giudizio sono le decisioni che può assumere un gip - domani. Dunque deve studiare le carte e oggi la giudice non potrà che fissare una nuova data. Ma la seconda conseguenza riguarda proprio la giudice, che dal 31 marzo dovrebbe passare ad altro ufficio. Dunque la palla passerà al presidente del Tribunale, che si troverà a un bivio delicato: potrà decidere di mantenere il procedimento affidato alla giudice originaria - e con ciò, prevedibilmente, prendersi orde di accuse di giudice politicizzato, e via di copioni visti e rivisti - o affidare tutto a un altro giudice, con ciò però riportando tutto il procedimento allo stadio iniziale. Cioè, calende greche.

Santanchè, l’opportunità delle dimissioni

Questa la situazione «tecnica». Poi ci sarebbero i risvolti politici, ed etici, che avrebbero dovuto indurre la ministra a dimettersi ben prima di una vigilia tanto delicata. Tranquilla sì, ma come abbiamo visto evidentemente non troppo.

Questo perché i politici dovrebbero quantomeno apparire coerenti con quel che dichiarano. Se sei tranquillo e non hai nulla da temere, lasci che il tuo giudice faccia il suo lavoro e la giustizia il suo corso. E se, come è nel diritto di chiunque, cambi avvocato, magari non lo cambi proprio all’ultimo giorno, apparendo come chi, dall’alto della propria tranquillità, trova il modo di evitare un’udienza cruciale per la propria carriera politica. Tanto più se, come Santanchè ha fatto ripetutamente, si dichiara codice alla mano che si è innocenti fino al terzo grado di giudizio. Il problema è avviare almeno il primo, però. Perché se il presidente del Tribunale dovesse affidare il caso a un nuovo giudice, ovviamente i tempi si allungherebbero (tanto) e la ministra, in assenza quantomeno di un rinvio a giudizio, potrebbe rimanere nella sua ostentata tranquillità.

Il problema, l’ultimo ma forse il più importante, è che non tutti i cittadini - che davanti alla Legge dovrebbero essere uguali - possono permettersi cambi in corsa di questo tipo. Mentre le carceri scoppiano e il governo vara riforme per velocizzare la giustizia, proprio una ministra trova il modo di allungare - forse - il procedimento che la riguarda. Che sia proprio così tranquilla, ecco, non ci giureremmo.

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