I debiti di Roma Capitale
e il pasticcio del Governo

A Roma è roba quasi da stornello, in Lombardia da campane a martello. Nell’ultima bozza del decreto crescita, approvata dal Consiglio dei ministri, ci sarebbe un colpo di spugna sui debiti di Roma. Il condizionale è d’obbligo perché il governo gialloverde ci ha abituati a cambiamenti quel filo repentini, ma la materia è gustosa, per usare un eufemismo: in realtà è letteralmente esplosiva. Il sottosegretario all’Economia Laura Castelli («Questo lo dice lei», ricordate la mitica risposta all’ex ministro Padoan) rassicura tutti. Vanamente.

«Si tratta di un’operazione win win nella quale vincono tutti perché prevede l’incrocio di due interessi a costo praticamente zero» spiega. Semplificando, lo Stato si farà carico di una parte dei debiti finanziari del Campidoglio compensandoli con una (piccola) riduzione del contributo destinato ogni anno al commissario. In questo modo il governo conta di chiudere la gestione commissariale entro il 2021, spiega il sindaco Virginia Raggi, ristrutturando un debito di 12 miliardi (no, non è un refuso) di euro.

Detta così sembra qualcosa a metà tra la finanza creativa di qualche ministro orsono e un colpo di bacchetta magica che manco il miglior Silvan. Non a caso, da Milano si è fatto sentire l’assessore al Bilancio Roberto Tasca, e non è stato tenero: « Io trovo questo un atto indecente, perché come al solito si declina la responsabilità fra coloro che hanno contratto il debito e coloro che quel debito lo devono pagare», stabilito che «tre quinti di quella somma era già stata coperta da tutti gli italiani».

Qualche chilometro più in là, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori non l’ha mandata a dire: «Da oggi ci tocca anche il debito di Roma, una voragine vergognosa cresciuta esponenzialmente anno dopo anno, fatta di inefficienza, clientelismo, in alcuni casi di corruzione. Di ogni colore politico. Tranquilli, c’è Pantalone che paga». E pure Gioppino, ci permettiamo di aggiungere, per rimanere in casa.

Nulla di nuovo, purtroppo: la storia anche relativamente recente parla di amministrazioni virtuose costrette a fare i salti mortali senza nemmeno poter spendere i soldi in cassa, frutto di un’oculata gestione, e altre scriteriate con debiti ripianati a piè di lista. Senza distinzione di colore politico, va detto, sia dal versante dei salvati che dei salvatori: il Campidoglio è stato amministrato (vabbè, un po’ fa ridere...) da Giunte di qualsivoglia colore. Dal punto di vista gestionale le responsabilità sono di tutti, così come dei Governi che sono arrivati in soccorso. Di Roma o di Catania, per fare un altro esempio nemmeno troppo in là con il tempo, dove anche la Lega si trovò a mandare giù il rospo per esigenze di coalizione. Quella volta con Forza Italia.

Ecco, in questa vicenda stupisce un po’ il silenzio catacombale di quel partito che un tempo aggettivava Roma in un solo modo: ladrona. Nel passaggio da una dimensione locale a quella nazionale il Carroccio pare aver perso non solo il Nord, ma anche un po’ di attenzione verso quei Comuni virtuosi alla cui testa si era messo nell’attacco agli sprechi dello Stato centrale in nome del federalismo e financo dell’indipendenza.

Sic transit gloria mundi, insomma: governare è già difficile e qualcosa agli alleati pentastellati bisogna pur concedere. Sempre che, strada facendo, non arrivi l’ennesimo ravvedimento da Palazzo Chigi e tutto torni in discussione. Nell’attesa di ulteriori approfondimenti, questa previsione del decreto crescita sembra però un pasticcio Capitale, anche un po’ offensiva per quei Comuni che ogni giorno fanno i salti mortali chiedendo sacrifici ai cittadini per far quadrare i conti. «Spesso una cosa stupida si regge perché viene approvata dalla legge» recita un noto stornello di Trilussa. Più romano di lui.

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