I crimini in Ucraina, la difesa dei civili

MONDO. Una clinica oncologica già distrutta e ricostruita, una casa di riposo, un centro commerciale in un sabato pomeriggio.

Sono gli edifici civili ucraini bombardati dall’esercito russo solo nei giorni scorsi. E poi palazzi residenziali, case e scuole, a centinaia dall’inizio dell’invasione, in zone lontane dal fronte e prive di obiettivi militari. Dove gli invasori conquistano territori, obbligano la popolazione locale a prendere la cittadinanza russa per non perdere abitazione, lavoro, pensione e assistenza sanitaria. Ancora in quei territori si registrano carcerazioni arbitrarie, torture e sparizioni. Non sono «fake news» della propaganda occidentale ma crimini di guerra vasti, documentati dalla Croce Rossa Internazionale e dalla Missione delle Nazioni Unite per i diritti umani. Avvenimenti tragici della guerra in Europa non sufficientemente soppesati, per assuefazione o per una lettura ideologica del conflitto che concede attenuanti a Mosca.

Vladimir Putin del resto è coerente con i suoi enunciati, ribaditi più volte: «L’Ucraina - ha detto e scritto lo zar - è un non Stato, parte della Russia. È venuto il momento di rimediare agli errori del 1991 e ripristinare l’unità del popolo trino russo, bielorusso e ucraino». «Revanscismo sovietico» lo definiva già nel 2004 in un libro la giornalista Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca nel 2006. Gli errori del 1991 si riferiscono allo scioglimento dell’Urss che il capo del Cremlino attribuisce all’Occidente ma che invece fu deciso dal Politburo perché l’Unione Sovietica poteva stare insieme solo con la forza. E infatti oggi la Bielorussia è sottomessa a Mosca tramite il fedele alleato e dittatore Alexander Lukashenko. L’affermazione «l’Ucraina non esiste» è grave: ha per conseguenza il non riconoscimento del popolo che in quello Stato si riconosce e che da secoli lotta contro il giogo imperiale russo. La cosiddetta «deucrainizzazione» è visibilmente in atto dal 24 febbraio 2022 nei territori occupati, dove la distruzione è sistematica.

I destinatari dei crimini di guerra esigono una riparazione, maturano un radicato desiderio di giustizia rispetto a ciò che hanno subìto, quando non un bisogno di vendetta. Chi è minacciato dai bombardamenti quotidiani cerca prima di tutto protezione. Alcuni analisti e rappresentanti politici chiedono un embargo sulle armi occidentali per indurre Israele a fermare i raid sulla Striscia di Gaza dopo oltre sette mesi di carneficine. La Russia viene rifornita di migliaia di droni esplosivi dall’Iran e ha ricevuto un milione di colpi d’artiglieria dalla Corea del Nord. Da mesi la regione ucraina di Kharkiv è massacrata dal lancio di «bombe plananti»: gli aerei russi si alzano in prossimità del confine e le lasciano cadere, gli ordigni planano per chilometri fino a colpire gli edifici civili. Le bombe sono dell’era sovietica (i magazzini russi ne sono pieni) e pesano fino a 1,5 tonnellate, modificate con l’applicazione di alette e guidate dai satelliti. Consentire all’esercito ucraino di colpire i punti di partenza dei velivoli omicidi è legittima difesa (prevista dalla Carta dell’Onu) da parte di uno Stato sovrano a rischio smembramento, per contrastare innanzitutto le stragi di civili, non è un attacco alla Russia.

La strada per un negoziato non è alternativa a questa difesa. L’obiettivo che appare più realistico oggi è il congelamento del conflitto per logoramento. Le richieste delle due parti sono troppo distanti per una pace giusta, a partire dal destino dei territori: Kiev chiede il ripristino dei confini del 1991 sanciti dall’Onu e dal Cremlino, Mosca invece il riconoscimento a se stessa del 20% di Ucraina annessa illegalmente nel settembre 2022. Ma soprattutto la smilitarizzazione del Paese invaso, che suona come preludio del completamento nei prossimi anni della conquista dello «Stato che non esiste». Putin del resto non ha fretta: potrà restare al potere fino al 2036. Solo la Cina ha il ruolo per convincerlo a desistere dai suoi obiettivi oltre frontiera ma per Pechino non è ancora il tempo. Chi avrebbe fretta invece sono i 30 milioni di ucraini in pericolo, fretta anche di sapere dove sono i loro cari scomparsi. Secondo l’Onu le vittime civili dell’invasione sono circa 11mila ma con la specifica che potrebbero essere molte di più. Fino a 100mila, perché di migliaia di persone si è persa ogni traccia.

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