L'Editoriale
Martedì 06 Giugno 2023
I controlli contabili, sullo sfondo le Europee
ITALIA. A colpi di fiducia il governo va avanti per la sua strada tra le molte proteste dell’opposizione e della magistratura contabile. Le quali considerano che eliminare il controllo «concomitante» della Corte dei Conti e mantenere lo scudo erariale per i soggetti attuatori delle opere pubbliche siano limitazioni, più che del potere della Corte dei Conti, dei diritti dei cittadini.
La risposta di governo e maggioranza è in realtà molto semplice: le due misure votate dal governo Meloni sono in realtà delle proroghe di decisioni prese a suo tempo sia dal governo Conte ai tempi del Covid sia dal governo Draghi agli albori dell’attuazione del Pnrr. Ma è una spiegazione che non convince la sinistra che vede nel comportamento della destra ancora una dimostrazione della volontà autoritaria del governo.
«La verità è che ciò che sembrava normale per Conte e Draghi oggi è visto come un prodromo del fascismo», rispondono a muso duro i partiti della coalizione di governo. C’è poi chi, come l’ex ministro Rotondi, ricorda che il controllo «concomitante» della Corte dei Conti sia una anomalia tutta italiana e che faccia parte di quel castello kafkiano di autorizzazioni che è stato costruito per combattere la corruzione ma che riesce soprattutto a rendere senza fine le decisioni della pubblica amministrazione. «La corruzione è ancora lì, intatta, dicono a Fratelli d’Italia, ma ponti, strade, scuole, ospedali, tunnel e trafori aspettano da decenni che arrivi l’ultima firma per cominciare a lavorare», sempre che, naturalmente, non ci sia una procura o un tribunale amministrativo che blocca tutto.
In effetti, a sostegno della tesi governativa si potrebbe portare il cosiddetto «modello Genova» che consentì di costruire il ponte a tempo di record saltando a piè pari tutti i controlli e affidando i pieni poteri al commissario-sindaco. Viceversa, le ultime leggi sulla ricostruzione post terremoto erano così fitte di autorizzazioni da lasciare per anni le macerie per strada ed è stato necessario cambiare radicalmente per cominciare a vedere le gru dei cantieri.
Anche l’Europa si deve essere accorta che si tratta di una baruffa tutta di politica interna, tant’è vero che la prima, malaccorta dichiarazione di una portavoce della Commissione («vigileremo sul sistema dei controlli italiano, monitoreremo da vicino») è stata velocemente cancellata e sostituita da ben altre frasi di circostanza diplomatica. Non che questo superi i problemi sull’attuazione del Pnrr che anzi si stanno aggravando, nonostante le note rassicuranti del ministro Fitto il quale respinge l’impressione che ci siano dei ritardi. In realtà, tutti si sono ormai rassegnati all’idea che riusciremo a spendere solo una parte dei miliardi che ci sono piovuti addosso (a rate, e siamo in ritardo).
Il governo continua a chiedere flessibilità a Bruxelles ma ottiene poco, e soprattutto è difficile che riesca nel tentativo di dirottare una parte dei fondi nei progetti delle più grandi aziende a partecipazione pubblica che si occupano di energia (Eni, Enel, Snam, Terna) e ovviamente hanno un’altra velocità di spesa rispetto alla pubblica amministrazione centrale o locale. A proposito di quest’ultima, anche i Comuni attaccano il governo sostenendo che è troppo lento nell’erogare i fondi per i progetti dei vari sindaci.
Non sfugga al lettore che siamo alla vigilia di importantissime elezioni europee che si terranno nella prossima primavera e che, con l’aria che spira nell’Unione, potrebbero sconvolgere gli equilibri che la governano da decenni. La buona reputazione e il successo, o il loro contrario, del governo di destra italiano sono un fattore determinante in vista dell’esito di quelle votazioni.
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