I commissari e il voto Pd, il mistero resta fitto

MONDO. E adesso non resta che aspettare la seduta della commissione del Parlamento europeo che dovrà esaminare, tra un paio di mesi, i nuovi commissari tra i quali Raffaele Fitto, indicato dal governo italiano e collocato dalla presidente von der Leyen alla vicepresidenza esecutiva con la delega alla coesione e alle riforme.

Ha una competenza a metà sull’attuazione del PNRR (a metà perché condivisa con il «falco» lettone Valdis Dombrovskis). Bisogna aspettare quel momento perché l’approvazione non è del tutto scontata. Basta fare i conti. La Commissione è composta da 41 membri, la maggioranza richiesta è di due terzi, cioè 28 voti. A favore di Fitto sulla carta sono 21 parlamentari. Ne mancano dunque sette. Forse si potrebbero aggiungere i deputati di Renew ma non basterebbero ancora. Si potrebbe cercare il voto della destra sovranista orbaniana ma si correrebbe il rischio di far infuriare quella parte della maggioranza «Ursula» che fino all’ultimo si è opposta a dare un ruolo di rilievo all’Italia meloniana: c’è la possibilità di guadagnare qualche voto a destra e di perderne di più a sinistra. Ecco che allora diventano determinanti gli italiani. Cioè il PD e il M5S.

Il PD è diviso. C’è chi come Decaro (ex sindaco di Bari, corregionale di Fitto) e Nicola Zingaretti sono per votare sì: «Meglio di così – dicono – non ci poteva andare». Ma molti altri, diciamo il versante sinistro-sinistro del gruppo piddino al Parlamento europeo, sono contrari a una posizione benevola se non compromissoria verso il candidato di centrodestra

Questi ultimi non hanno dubbi: voteranno contro. Restano i democratici. A loro Giorgia Meloni ha rivolto un appello accorato chiedendo l’unità degli italiani di fronte al «loro» commissario (che poi tanto nostro non dovrebbe essere dal momento che amministra a nome dei ventisette paesi, non solo del suo). Una richiesta che si appoggia anche sul fatto che a suo tempo l’ECR (i Conservatori di cui Meloni è stata presidente) votarono a favore del democratico Paolo Gentiloni.

Il voto decisivo

Il PD è diviso. C’è chi come Decaro (ex sindaco di Bari, corregionale di Fitto) e Nicola Zingaretti sono per votare sì: «Meglio di così – dicono – non ci poteva andare». Ma molti altri, diciamo il versante sinistro-sinistro del gruppo piddino al Parlamento europeo, sono contrari a una posizione benevola se non compromissoria verso il candidato di centrodestra. Da notare che il PD è il gruppo nazionale maggiore all’interno della sinistra riformista europea, e il suo orientamento pesa e peserà. La Schlein non si è ancora pronunciata: finora ha sottolineato soprattutto che il risultato ottenuto da palazzo Chigi nella trattativa con la von der Leyen è una vittoria di Pirro, che le deleghe date a Fitto sono ben lontane, per importanza, da quelle a suo tempo richieste, tant’è che nella scorsa legislatura erano nelle mani di un portoghese.

La Schlein non si è ancora pronunciata: finora ha sottolineato soprattutto che il risultato ottenuto da palazzo Chigi nella trattativa con la von der Leyen è una vittoria di Pirro, che le deleghe date a Fitto sono ben lontane, per importanza, da quelle a suo tempo richieste, tant’è che nella scorsa legislatura erano nelle mani di un portoghese

Insomma, si nega che Giorgia Meloni abbia segnato un punto a suo favore come invece va dicendo in compagnia dei giornali di area. E inoltre nel centrodestra temono che la segretaria del PD speri che Fitto vada male di fronte alla commissione, insomma che si autoaffondi come accadde anni fa a Rocco Buttiglione, evitando così una spaccatura nel gruppo PD. Si sa del resto che l’esame sarà piuttosto duro, soprattutto da parte delle varie opposizioni (peraltro sembra che Fitto non padroneggi benissimo la lingua inglese, cosa che non fa mai una bella impressione nelle sedi internazionali ed europee) ma il candidato è un uomo molto abile, di vecchia scuola democristiana pugliese, e preparato tanto da essere stimato nei palazzi di Bruxelles proprio per la sua competenza sui vari dossier e anche per la capacità di negoziare.

Si deve a lui il compromesso di qualche giorno fa sulla spinosissima questione delle concessioni balneari (che infatti sono state prorogate al 2027). In ogni caso non si è ancora dimesso da ministro: aspetta cautamente l’esito della commissione. Non si sa mai.

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