I bambini morti in mare, un silenzio che fa male

ITALIA. Solo da gennaio scorso più di cinque migranti sono annegati in media ogni giorno nel Mediterraneo centrale cercando di raggiungere l’Italia: 920 persone, 29.800 dal 2014.

I dati sono stati resi noti dall’organizzazione non governativa «Save the Children» - che opera nel Mare Nostrum per salvare vite e con lo stesso obiettivo in molti Paesi in guerra - all’indomani dell’ennesima tragedia, avvenuta verso le coste di Roccella Ionica (Calabria) e di Lampedusa: due imbarcazioni sono naufragate e le onde hanno risucchiato almeno 70 fuggiaschi, 26 dei quali erano bambini. Nel cinismo dei tempi queste morti vengono ormai considerate come un «danno collaterale» dell’immigrazione quando non colpa di chi si mette in viaggio pur conoscendo i rischi esistenziali ai quali va incontro. Ma proprio questa consapevolezza è la misura di quanto sia dura la vita nelle terre d’origine di chi decide di assumersi il pericolo pur di cercare condizioni di vita dignitose.

Non si possono liquidare queste tragedie come frutto del caso: vanno individuate le cause se davvero c’è la volontà di dare risposte efficaci, degne di una civiltà umana. «Gli ennesimi naufragi - denunciano in una nota l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e l’Unicef - generano un senso di profonda frustrazione per i ripetuti appelli inascoltati a potenziare risorse e capacità per le operazioni di ricerca e soccorso in mare a supporto della Guardia costiera italiana. Ogni naufragio rappresenta un fallimento collettivo, un segno tangibile dell’incapacità degli Stati di proteggere le persone più vulnerabili. Oltre alla necessità urgente di un sostegno europeo alle operazioni di ricerca e soccorso, è fondamentale promuovere un più ampio accesso a percorsi sicuri e regolari nell’Unione europea per migranti e rifugiati, affinché non siano costretti a rischiare la vita in mare». Non ci sarebbe altro da aggiungere: le tragedie si ripetono da almeno 30 anni, la soluzione è nota ma non viene applicata per indifferenza, insipienza politica quando non per la falsa certezza che più salvataggi nel Mediterraneo genererebbero più partenze, il cosiddetto «pull factor» smentito peraltro da studi e dalla realtà.

Le politiche italiane (soprattutto degli ultimi due anni) e quelle comunitarie dell’Ue puntano sull’esternalizzazione delle frontiere, affidandone i controlli a Paesi terzi, senza dare al soccorso in mare un ruolo urgente. Il recente G7 in Puglia ha assunto un giusto, ennesimo impegno di contrasto ai trafficanti di esseri umani. Ma non basta. La campagna elettorale per il nuovo Europarlamento che ha preceduto il voto dell’8 e 9 giugno scorsi è stata povera di contenuti, fra i quali è mancata la gestione (umana) delle migrazioni, tema che non attira certo consensi nelle urne. È però inaccettabile il silenzio delle grandi istituzioni sulla nuova, grande tragedia nel Mediterraneo, e su quei 26 bambini annegati: fa male alla coscienza e fa male alla reputazione delle stesse istituzioni. Le responsabilità sono molteplici, vanno chiamate in causa pubblicamente e senza reticenze.

Se si studiano le biografie si viene a sapere che una parte delle 70 vittime proveniva da Siria, Iraq e Iran, Stati che non possono certo dirsi in pace. Nalina, 10 anni, irachena, è fra i sopravvissuti del naufragio verso Roccella Ionica, nel quale ha perso i genitori e la sorellina. Nel 2023 le persone costrette alla fuga hanno raggiunto nuovi livelli storici in tutto il mondo, come accerta il rapporto «Global Trends 2024» presentato nei giorni scorsi dall’Unhcr. Il numero complessivo, che ha toccato i 120 milioni nel maggio scorso, è in crescita per il 12° anno consecutivo a causa di vecchi e nuovi conflitti. Fra i 43,4 milioni di rifugiati sotto la tutela dell’agenzia dell’Onu, il 73% proviene da soli cinque Paesi (Afghanistan, Siria, Venezuela, Ucraina e Sudan). Ma il dato record sarebbe più alto, perché non contabilizza le 1,7 milioni di persone (il 75% della popolazione) sfollate dalle proprie case e impossibilitate a lasciare la Striscia di Gaza devastata dai bombardamenti israeliani.

Il rapporto segnala anche che la stragrande maggioranza dei rifugiati è ospitata in Stati limitrofi a quelli delle crisi (69%) e il 75% in nazioni a basso e medio reddito. Inoltre tre profughi su quattro sono in fuga da devastanti cambiamenti climatici. Le migrazioni sono un sismografo dei mali del mondo ai quali non si pone rimedio. No, non avvengono per caso.

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