L'Editoriale
Domenica 09 Luglio 2023
I 500 giorni di guerra sulle spalle dei giovani
MONDO. L’«operazione militare speciale» ha varcato la soglia dei 500 giorni di durata e purtroppo non si intravede una fine imminente. Vladimir Putin aveva scelto quel nome per l’invasione dell’Ucraina convinto che si sarebbe risolta con un breve blitz, il tempo di instaurare a Kiev un governo fantoccio.
Un grossolano errore di valutazione, sintomo della scarsa conoscenza del popolo aggredito e della sottovalutazione delle reazioni internazionali. Così l’operazione si è trasformata in una feroce guerra di attrito lungo i mille chilometri del fronte nel Donbass. Nono sono mancati tentativi di instaurare un negoziato, con promotori diversi. Ma ogni iniziativa cozza contro il grande scoglio: per il presidente russo è in gioco il proprio ventennale potere che crollerebbe in caso di sconfitta e al Cremlino non basta il riconoscimento di ciò che già possedeva illegalmente (la Crimea, annessa nel 2014) ma ha bisogno di conquistare nuovi territori per giustificare il sacrificio di almeno 150mila giovani soldati, provenienti dalle Repubbliche più povere, e un bilancio statale gravemente appesantito dalle spese militari; per Kiev è in gioco la sopravvivenza del proprio Stato indipendente e sovrano, riconosciuto dall’Onu e da Mosca in tre passaggi.
La campagna di bombardamento quotidiano di edifici civili lontani dal fronte (il più recente è avvenuto a Leopoli, che accoglie migliaia di sfollati ed è la porta d’ingresso principale degli aiuti umanitari internazionali: dieci morti, fra i quali una 95enne sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale) e l’inverno al gelo e al buio per 10 milioni di persone dopo i raid russi sulle centrali elettriche, non solo non hanno piegato la resistenza del popolo ucraino ma hanno instillato in quel popolo una sete di giustizia crescente. Così il conflitto ha le sembianze di un titanico braccio di ferro nel quale nessuno dei due contendenti riesce a prevalere, in attesa di nuovi eventi.
Ma Putin un obiettivo lo ha già raggiunto: umiliare un Paese e procurargli lutti e danni immensi. Il prezzo più grande lo pagherà la generazione dei ragazzi ucraini che dovrà ricostruire uno Stato che era in crescita economica, una democrazia giovane che legittimamente guardava a Ovest per liberarsi dal giogo plurisecolare di Mosca. Secondo un rapporto dell’organizzazione non governativa «Save the Children», 1.635 tra scuole, università, asili e altri istituti ucraini hanno subito danni in un anno di guerra. Di questi, 126 sono stati completamente distrutti, soprattutto nelle regioni dell’Est. A settembre, solo una scuola su tre è stata in grado di iniziare le lezioni in presenza perché soltanto gli edifici dotati di un rifugio sono autorizzati ad accogliere gli studenti. Un milione di bambini ha frequentato le aule, mentre 1,2 milioni hanno combinato lezioni online con quelle in presenza. Un deficit di formazione che peserà per anni su queste generazioni, insieme alle ferite psicologiche del conflitto: i minori sono i più esposti e hanno traumi curati anche da ong italiane presenti nel teatro di guerra. Eppure secondo un sondaggio della Fondazione Dobrodiy di Kiev e del Plan International, per l’86% dei giovani tra i 13 e i 19 anni il proprio futuro sarà ancora in Ucraina.
La guerra in corso in Europa avrà ricadute geopolitiche pesanti (se ne vedono già i segni: un mondo ancora più diviso) ma il conto maggiormente salato sarà come sempre sulle spalle delle vittime, colpite dalla particolare ferocia dell’«operazione militare speciale» che in 500 giorni ha mostrato orrori indicibili. Accadono anche in altri conflitti, ma ci sono report di organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, o non governative come «Medici senza frontiere» che certificano la particolare brutalità dell’aggressione sul popolo ucraino. Se c’erano vendette da consumare, 500 giorni non sono bastati.
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