I 5 Stelle nelle braccia
del Pd: Letta a comandare

Le prossime elezioni saranno un confronto tra Enrico Letta e Giuseppe Conte da una parte, e Giorgia Meloni e Matteo Salvini dall’altra. Le due coppie già sono operative anche se naturalmente al loro interno sono parecchio conflittuali. Di loro si potrebbe dire, citando: «Né con te, né senza di te». Basti guardare la gara a destra tra Giorgia e Matteo. Ma anche in quella tra Enrico e Giuseppi non si scherza. Conte, innanzitutto. Sta prendendo in mano un Movimento libanizzato dove l’unica regola è quella del tutti contro tutti: ognuno per sé in cerca di un posto al sole prima che il cielo si oscuri. Come ci si muoverebbe a Beirut, Conte avanza con sfiancante lentezza: sono due mesi, da quando non è più presidente del Consiglio, che ha detto «io con voi ci sarò sempre», poi si è chiuso a meditare.

È uscito dal cubicolo l’altra sera per dire alcune cose generiche e senza nemmeno accennare all’unica che interessava agli ascoltatori, tutti deputati, senatori ed europarlamentari: davvero, come dice Grillo, dopo due legislature si torna a casa? A questo dubbio lancinante, Conte si è ben guardato dal rispondere.

Privi ancora di una guida ufficiale, i grillini camminano da soli. Ma verso dove? Verso l’abbraccio col Pd di Enrico Letta, naturalmente. Non hanno alternativa, se vogliono sopravvivere alla mattanza elettorale che alle prossime politiche falcidierà le loro fila. Da qui ad allora ci sono però le elezioni amministrative nelle principali città italiane a cominciare da Roma dove Virginia Raggi, con la sua cocciuta determinazione a ricandidarsi, rappresenta un serio ostacolo.

In ogni caso, se l’alleanza è nelle cose da tempo, il problema è chi comanderà. I grillini sembrano già rassegnati al fatto che a guidare sia il Pd come vuole Letta, ma forse Conte – se non altro per orgoglio personale – non vuole che il suo omologo abbia vita troppo facile. I sondaggi li danno sostanzialmente appaiati, quel che farà la differenza sarà la diversa propensione alla leadership: il Pd, per quanto dilaniato dalle feroci lotte correntizie, gode sicuramente di un’esperienza maggiore.

Ed è proprio su questo che Letta vuole fare leva: la naturale vocazione di ex diessini ed ex democristiani a dare le carte. E con il M5S non dovrebbe essere difficile nonostante Conte. Del resto Franceschini lo ha sempre teorizzato che con i grillini bisogna fare il bagno insieme e poi portargli via i vestiti. Letta la pensa alla stessa maniera: ripete che la coalizione di centrosinistra deve fondarsi sulla leadership del Pd, cioè sua. È ormai archiviata l’incauta affermazione di Zingaretti su «Conte punto di riferimento dell’area progressista». Non se ne parla proprio, forse anche per questo che Nicola è stato «costretto» a fare le valigie e a tornare a occuparsi a tempo pieno della Regione Lazio. Il punto debole del Pd è però il suo ininterrotto cannibalismo interno di cui Letta fece le spese quando, tutti i capicorrente si misero d’accordo con Renzi per cacciarlo in malo modo e rapidamente da Palazzo Chigi.

A proposito di Renzi. Con la sua ultima piroetta - la crisi del governo Conte - è riuscito a spianare la strada a Draghi, ma il sommovimento che ne è derivato ha portato Conte a capo dei Cinque Stelle e Letta alla segreteria del Pd. Conte e Letta: forse i peggiori nemici di Renzi, cioè di colui che ha provocato le dimissioni di entrambi dalla presidenza del Consiglio. Ora quei due sono alleati e, tra gli altri, hanno un obiettivo comune: spianare Italia Viva. Forse è per questo che Renzi si impegna tanto nei suoi rapporti internazionali, incurante di critiche e sarcasmi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA