Grandi opere
e priorità da definire

Sono stati i 4 chilometri e 300 metri probabilmente più agognati della storia della Bergamasca, la nostra Salerno-Reggio Calabria in piccolo, capaci persino di superare la nefasta vicenda dell’Asse interurbano o della galleria di Montenegrone, autentici monumenti dell’italico modo di (non) fare le opere pubbliche. Eppure la variante di Zogno ci deve insegnare qualcosa, su tutto il fatto che le opere «eterne» nascono comunque vecchie. Ed è una questione basilare, dalla quale non si può sfuggire, soprattutto in prospettiva. La variante di Zogno non è nata vecchia, lo è diventata nel corso dei 10 anni passati dal via ai lavori all’inaugurazione. E ancora di più, se allarghiamo l’orizzonte a quando è stata concepita: 1992, tre anni dopo la caduta del muro di Berlino quando Berlusconi era solo sinonimo di Canale 5 e Milan e si ragionava in lire.

La storia, anzi le vicissitudini, di questa variante deve farci capire che è sì vero che uno statista ragiona sui tempi lunghi e un politico al massimo su quelli della prossima elezione, ma che se i primi diventano infiniti i danni possono essere maggiori dei benefici. Per carità, da ieri alle 10 il traffico su Zogno è crollato e i tempi di percorrenza da e per la Val Brembana sono scesi di almeno 10 minuti, ma è di tutta evidenza che il rapporto tra costi e benefici non torna. E ci aggiungiamo anche i tempi. Non a caso sia la Regione che la Provincia hanno subito puntato l’indice sulla necessità di guardare a sud, sulla realizzazione della tratta da Sedrina-Villa d’Almè fino a Paladina, dove è in corso di realizzazione il potenziamento da Curno. Il problema è che l’opera ha costi elevatissimi (400 milioni salvo complicazioni, che ci saranno, matematico...) e un impatto quantomeno problematico. Ma soprattutto risponde a una visione del territorio corretta ma comunque vecchia: nel senso che gli anni passati in attesa di qualcosa hanno inevitabilmente cambiato il quadro. Per colpa di nessuno, o forse di tutti, ma le cose sono cambiate.

La pandemia ha sicuramente dato il colpo di grazia, ma chi pensa a una diffusione dello smart working tale da modificare in modo radicale le abitudini delle persone (per tacere delle merci), il consiglio che ci permettiamo di rivolgere è fare la strada della Val Brembana in senso contrario la mattina tra le 8 e le 9. Noi l’abbiamo fatto ieri e la situazione è lì da vedere. Bisogna puntare sul trasporto collettivo, meglio ancora su ferro? Sacrosanto, ma come la mettiamo con le levate di scudi che si alzano ogni volta che i binari passano dalla carta alla terra e anche prima? Quando cioè prevale la visione del proprio metro quadro rispetto a quella complessiva? Quando i costi delle opere diventano semplicemente insostenibili inseguendo l’illusione di accontentare tutti?

Alla fine, come in ogni cosa della vita, è questione di scelte. Non ne esistono di perfette, ma sicuramente trascinare (o inseguire) progetti e visioni vecchi di anni non porta a risultati decisivi, semmai sposta il problema di qualche chilometro. E allora forse bisogna riscoprire una parolina: priorità. Che non possono essere dettate (solo) dalla disponibilità di fondi, ma da una visione di sistema. Oggettivamente i tempi medi di realizzazione delle opere pubbliche in questo Paese (anche in quella parte che si ritiene avanzata, europea) sono troppo lunghi e il tempo è il peggior nemico possibile. Non è un invito a mettere da parte qualcosa, semmai a individuare le cose veramente necessarie e portarle avanti insieme senza esitazioni e in tempi certi. Diversamente continueremo a inaugurare opere che sanno di vecchio, perché gli anni che passano non sono un’opinione ma qualcosa che ci viene messo davanti ogni giorno. Anche quando si vede la luce in fondo al tunnel: peccato che dopo ce ne sia subito un altro da scavare.

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