L'Editoriale
Domenica 28 Ottobre 2018
Grandi opere, 5 stelle
in difetto di coerenza
Il minimo che si possa dire del Movimento Cinque Stelle sulle grandi opere è che la coerenza non è il suo forte. Prendete la Tap, acronimo di Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto di 878 chilometri che dovrebbe portare metano estratto in Azerbaigian, collegando il Mar Caspio con la Puglia passando per l’Albania. Finirebbe a 700 metri dalla spiaggia salentina di San Foca, una delle più belle della Puglia, sotto i fondali dove vivono persino le tartarughe di mare, immense praterie marine ricche di fauna che danno ossigeno all’Adriatico. I grillini avevano fin dall’inizio abbracciato la battaglia dei salentini, denunciando «l’ecomostro» persino al Parlamento europeo. La lotta dura senza paura al gasdotto era un punto qualificante della campagna elettorale pentastellata. Alla manifestazione No Tap del 22 settembre 2014, Beppe Grillo aveva gridato: «Deve essere il popolo a decidere, anche sul gasdotto. Se per fare l’opera metteranno in campo l’esercito, noi ci metteremo il nostro di esercito».
Quattro anni dopo eccolo qui, il Governo Cinque Stelle di Giuseppe Conte, a dire un sì convinto alla Pipeline, con l’alleato leghista pronto a blindare il testo attraverso la fiducia. Al momento non si prevede alcuna sollevazione di popolo, ma serpeggiano in rete i malumori, con video che ritraggono iscritti pugliesi che stracciano la tessera.
Secondo il premier, le verifiche tecniche e amministrative del ministero dell’Ambiente sono positive (ma già il Consiglio di Stato si era già espresso in tal senso nel 2017) e dunque si procederà, anche perché in caso contrario arrecherebbe un grave danno economico. Non solo sul piano degli investimenti e del lavoro che dà reddito a tante famiglie di tecnici e operai. Ci sarebbe da pagare anche una penale di 20 miliardi di euro, praticamente mezza manovra economica, ha annunciato il vicepremier Luigi Di Maio, numero uno dei Cinque Stelle.
Ma è davvero così? O è una pietosa bugia politica, come consiglierebbe Niccolò Machiavelli, utile per salvare il salvabile e far quadrare il cerchio? Secondo l’ex ministro del Pd Carlo Calenda le cose non starebbero proprio così. «Non esiste una penale», ha detto ieri Calenda «perché non c’è un contratto (fra lo Stato e l’azienda Tap ndr) ma, in caso, una eventuale richiesta di risarcimento danni» da parte dell’impresa «visto che sono stati fatti investimenti a fronte di un’ autorizzazione legale». Il problema è che quasi tutti i parlamentari grillini del Salento, e non solo, sono stati eletti al grido di «no Tap». E ora?
Come è difficile essere Movimento di lotta e di governo. In questi giorni gli elettori e i deputati Cinque Stelle stanno imparando la dura legge della «realpolitik», anche in campo ambientalista. Il problema è che non c’è un disegno coerente nemmeno nella «realpolitik» (incarnata soprattutto dal ministro del Lavoro Luigi Di Maio). Altrimenti perché mai a Torino la sindaca Appendino sta per far approvare un ordine del giorno in Consiglio comunale contrario alla Tav, la ferrovia ad alta velocità che taglierà in due l’Europa, altra bestia nera dei Cinque Stelle della prima ora? Un bel paradosso. Dire che la città di Torino, che è uno dei poli della linea ad alta velocità con Lione, è contraria, è come dire che durante la costruzione della linea Milano-Roma i milanesi si sono ribellati.
Tutto questo naturalmente si riflette all’interno del Movimento, al centro di un movimento centripeto che rischia di farlo implodere, insieme ad altri provvedimenti governativi del governo gialloverde, come Ilva o condono fiscale. A fregarsi le mani è l’alleato della Lega, da sempre favorevole alle grandi opere e dunque senza alcun problema di coerenza politica, che infatti continua a macinare consensi nei sondaggi. Perché la coerenza politica, a volte, premia.
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