L'Editoriale
Martedì 05 Aprile 2022
Grande esodo, così la Russia perde peso
geopolitico
L’esodo forzato di milioni di ucraini che fuggono dall’invasione russa è sotto gli occhi di tutti. È una delle testimonianze più drammatiche della violenza perpetrata dall’esercito di Mosca contro questa popolazione. Tuttavia c’è «un altro esodo», per citare «Le Monde», di cui sarà utile tenere conto nelle prossime settimane, un esodo certo meno consistente e visibile di quello ucraino, ma che pure offre utili indicazioni su cosa accade davvero in Russia. Il riferimento è alle decine di migliaia di cittadini russi che stanno abbandonando il proprio Paese per l’aggravarsi della crisi economica sulla scorta di guerra e sanzioni occidentali, o per le minacce ricevute per aver espresso il proprio dissenso rispetto alle scelte del Cremlino, o in generale per il timore per quel che gli riserverà il futuro.
Secondo alcune stime, addirittura 200.000 russi avrebbero abbandonato il Paese solo nelle prime tre settimane di operazioni belliche. È l’accelerazione di un flusso che, a dire il vero, si è progressivamente rafforzato nell’ultimo decennio, con l’emigrazione di una fascia di popolazione spesso giovane e ben istruita. Di fronte al rinnovato militarismo in politica estera con l’annessione della Crimea (2014), alla progressiva stretta sulla libertà d’espressione e in generale al definitivo eclissarsi di una democrazia funzionante che consenta agli elettori di appoggiare proposte alternative di riforma civile, economica e sociale, votare alle elezioni sembra aver perso di senso in Russia, e così a centinaia di migliaia di cittadini non è rimasto che «votare con i piedi», cioè andarsene dal Paese. Una scelta con numerose implicazioni, a livello individuale e sociale, che suona anche come una bocciatura senza appello delle scelte del presidente Vladimir Putin che pure sull’incremento della popolazione aveva molto puntato negli scorsi mesi e anni.
«Il destino della Russia e le sue prospettive storiche dipendono da quanti saremo. Dipendono da quanti figli saranno nati nelle famiglie russe tra un anno, tra cinque o dieci anni, dalle loro scelte quando cresceranno». Sono le parole pronunciate da Putin il 15 gennaio 2020, quando il presidente scelse di dedicare alla questione demografica il suo annuale discorso alla nazione. Il declino numerico della popolazione russa, agli occhi di Putin, è sempre stato un fenomeno pericoloso e da contrastare. L’invasione militare dell’Ucraina, però, potrebbe segnare il definitivo fallimento dell’attuale leadership di Mosca anche su questo fronte.
Al momento del crollo dell’Unione Sovietica, nel 1991, la Russia contava 148,3 milioni di abitanti. Proprio in quegli anni, il Paese diventa addirittura un caso di studio per gli esperti di demografia: unica realtà in cui non soltanto diminuisce rapidamente il numero di nascite ma in cui si abbassa drasticamente l’aspettativa di vita media (che invece in Italia e nel resto del mondo sale). Motivo? Crisi economica e sconquasso sociale si sommano a stili di vita precari (la mortalità maschile in eccesso è ricondotta in gran parte all’alcolismo) e a cure sanitarie carenti. Nel 2000 Putin diventa presidente del Paese per la prima volta. Da allora, nei successivi sette anni, stabilizzazione politica e ripresa economica sbandierate non impediscono alla Russia di perdere quattro milioni di abitanti, scendendo al suo minimo storico, 142,8 milioni. Putin allora mette in campo generose politiche pro-natalità con cui riesce soltanto a frenare la diminuzione del numero di abitanti e non a invertire la rotta. Se nel 2015 la popolazione russa compie un balzo verso l’alto, fino a 146,3 milioni di abitanti, è solo in quanto le autorità statistiche nazionali includono nel conteggio annuale i 2,3 milioni di abitanti della Crimea annessa nel 2014 in spregio del diritto internazionale. Seguono negli anni successivi alcune norme per facilitare la naturalizzazione russa, ma la sfida demografica sembra troppo grande per il Cremlino. Anche perché nel frattempo, a partire dal 2012 e dalla stretta autoritaria che coincide prima con la rielezione di Putin a presidente e poi con l’invasione della Crimea, il numero di russi che abbandonano il Paese torna ad aumentare, supera i 300.000 l’anno, fino a sfiorare i 500.000 nel 2020. L’«altro esodo» avviato in queste settimane, durante l’invasione dell’Ucraina, potrebbe trasformare definitivamente l’orso russo in un «nano demografico», destinato nel medio-lungo termine a un rilievo geopolitico sempre minore anche rispetto a due giganti asiatici come Cina e India.
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