Governo, la crisi
è ancora possibile

Alla vigilia del Consiglio europeo, il presidente del Consiglio Conte, insieme al ministro dell’Economia, Giovanni Tria, gioca le sue carte per evitare la procedura di infrazione: di fronte ai suoi colleghi capi di governo oggi a Bruxelles porterà un testo fatto approvare in nottata dal Consiglio dei ministri in cui da una parte si sostiene che il deficit di bilancio 2019 sarà inferiore a quanto programmato dall’ultima manovra, attestandosi al 2,1 per cento sul Pil; e dall’altra si mettono sul tavolo i due miliardi congelati a dicembre – a questo punto definitivamente cancellati – insieme ad altre risorse derivanti dalla minore spesa per reddito di cittadinanza e quota cento.

La speranza di Conte è di convincere il Consiglio quantomeno a rinviare all’autunno l’avvio della procedura, quando cioè ci sarà la nuova Commissione e saranno insediati tutti i vertici dell’Unione. Non è detto che il tentativo di Conte riesca ma qualche margine potrebbe averlo: la procedura di infrazione e la definitiva messa al bando dell’Italia non è cosa da decidersi a cuor leggero, potrebbe infatti avere conseguenze finanziarie assai serie per tutta l’Unione e non solo per noi. Sembra di capire che i tedeschi e i francesi, preparandosi a deludere i falchi (dagli olandesi ai vari «sovranisti»), aspettino dal governo di Roma un segnale concreto di buona volontà per prendere tempo. Conte pensa che la mossa decisa nelle ultime quarantotto ore sia sufficiente per Angela Merkel e per Emmanuel Macron, e giura che su questa linea l’intero governo è unito. La stessa rassicurazione il premier l’ha data al capo dello Stato nel consueto pranzo di lavoro al Colle prima del Consiglio europeo.

Il problema però si apre quando si esce dalle stanze ovattate di Palazzo Chigi e del Quirinale e si entra nelle dirette Facebook di Salvini e Di Maio. Dove si ascolta tutta un’altra musica. Soprattutto da parte di Salvini. Il quale ha di nuovo attaccato la Commissione, l’Europa e direttamente Parigi e Berlino, cioè proprio chi dovrebbe aiutarci ad uscire dall’angolo in cui siamo finiti. Il ministro dell’Interno ha detto che «è finito il tempo dei governi fessi, incompetenti o complici» ai quali andava bene tutto, anche quello che francesi e tedeschi «decidevano per fregare tutti gli altri». Di seguito, la rituale ripetizione della priorità assoluta del calo delle tasse e della flat tax da inserire già nella prossima legge di Bilancio. «Serve uno choc fiscale per crescere, come insegna Trump» ha ripetuto Salvini, fresco reduce dalla visita negli Stati Uniti da cui deve aver ricavato altri buoni motivi per entrare in polemica con Bruxelles: l’idea di un «rapporto speciale» dell’Italia con gli Usa, balenato negli incontri con il segretario di Stato Pompeo e con il vicepresidente Pence, ha rinforzato in Salvini una linea offensiva nei confronti di Bruxelles e tutta pro-America.

Sia pure con toni meno ultimativi anche Di Maio insiste perché la prossima manovra contenga le misure che il M5S propone, a cominciare dal salario minimo a 9 euro. Sia l’uno che l’altro vicepresidente non rispondono alla domanda su come si possano finanziare queste misure insieme a tutto ciò che già dobbiamo pagare (a cominciare dalle clausole di salvaguardia per non far scattare l’Iva: 23 miliardi per due anni). Preferiscono girare la questione a Giovanni Tria: «Li trovi lui i soldi, è il suo mestiere di ministro dell’Economia». Tanta insistenza per temi largamente elettoralistici fa ancora una volta emergere il sospetto che la prospettiva di un voto a settembre sia tutt’altro che scongiurata: non si è infatti ancora chiusa la finestra per lo scioglimento delle Camere in tempo per aprire le urne coi primi freschi, e c’è chi pensa che la crisi sia ancora dietro l’angolo.

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