Governo in stallo
indebolisce la Lega

Finché c’erano da approvare i loro provvedimenti-bandiera (quota 100 e reddito di cittadinanza), Salvini e Di Maio erano tutti baci e abbracci. Doppiato lo scoglio, l’incanto è sparito. Anzi, è cominciato il litigio continuo. Litigio su tutto, anche su quanto era stato concordato nel testo sacro del contratto di governo. La cosa al momento non sorprese più di tanto. È risaputo che in corrispondenza degli appuntamenti elettorali (in calendario per la primavera), anche gli alleati di governo si preoccupano di marcare le differenze.

Quello che non ci si aspettava è che, tramontata ormai la possibilità di convocare le urne in tempo utile (il 20 di questo mese) per tenere a settembre le elezioni prima della stesura del bilancio, lo scontro perdurasse. Anzi, che si aggravasse. Le conseguenze si sono viste subito. Governo bloccato. Riforme al palo. Nessuna possibilità di aggredire i gravi problemi che affliggono l’economia.

Tutto sommato, ai grillini questo andazzo può anche andar bene. Scampato il pericolo di affondare se le elezioni fossero state troppo ravvicinate, ora possono avere un po’ di tempo per riuscire – perché no? – a riguadagnare almeno parte del consenso perduto.

Chi corre più pericoli è Salvini. Se ne sta accorgendo in questi giorni. L’autonomia differenziata, il provvedimento più atteso dalla sua gente del Nord, che a questo punto – parola del governatore della Lombardia, Attilio Fontana – minaccia addirittura di «scendere in piazza», è tornata in alto mare. Il decreto sicurezza, come lo «spazza corrotti», langue. In Europa la Lega si ritrova in un angolo.

Il cerchio pare chiudersi dopo che si è levato il polverone dei presunti finanziamenti russi. Vere o false che siano le rivelazioni giornalistiche, Salvini è costretto a stare sulla difensiva. Non era mai successo. Colpa dell’isolamento in cui s‘è cacciato, a Roma come a Bruxelles. Il suo socio Di Maio (è proprio vero che i veri amici si riconoscono nei momenti di difficoltà) s’è affrettato a chiedergli di «fare chiarezza», magari anche con una commissione d’inchiesta. A questo punto, con un suo uomo, Gianluca Savoini, inquisito per corruzione internazionale, Salvini si può scordare il posto di commissario europeo alla concorrenza.

È pur vero che i numeri dei sondaggi continuano a essere in suo favore. Un governo in stallo, comunque, non può alla distanza portargli del bene. Stretto com’è sotto assedio, non può più pensare di far saltare il banco. Gli rovinerebbe addosso.

Viene da chiedersi a questo punto per quale ragione, dopo l’exploit elettorale del 26 maggio, non abbia puntato sul voto anticipato. Si possono avanzare solo ipotesi. Non regge l’argomentazione, più volte da lui ribadita, che la Lega non tradisce la parola data (ai Cinquestelle): non era altrettanto una parola data (agli elettori) quella di essersi presentato in uno schieramento di centrodestra?

Non regge nemmeno più la pretesa garanzia di poter realizzare per intero con l’attuale maggioranza il suo programma di riforme. Anche se le elezioni anticipate, chiusa la finestra di settembre, si possono tenere nella prossima primavera, le condizioni sono nel frattempo peggiorate, e non di poco. Salvini aveva fatto troppo affidamento sulla cedevolezza del M5S. Procuratosi la carica di ministro dell’Interno che gli ha permesso di cavalcare battaglie di facile presa sull’elettorato (come i porti chiusi all’immigrazione, c’è bisogno di dirlo?) e in compenso di scaricare sul partner la piena responsabilità della cattiva prova fornita dal governo in materia economica, non aveva nessun interesse a cambiare lo schema di gioco.

Un gioco evidentemente troppo bello perché potesse durare indefinitivamente.

© RIPRODUZIONE RISERVATA