L'Editoriale
Mercoledì 05 Giugno 2019
Governo diviso
L’inedito di Conte
Eppure il monito del presidente della Repubblica era stato chiarissimo: «Libertà e democrazia non sono compatibili con chi alimenta i conflitti». Era difficile essere più espliciti nell’indicare l’unica strada percorribile affinché il Paese esca indenne dalla pericolosa situazione nella quale versa la nostra economia, con i suoi riflessi (presenti e futuri) sull’occupazione, sull’avvenire delle nuove generazioni, sulla stabilità sociale. Come usa fare da quando l’attuale governo è in carica, il capo dello Stato ha adottato il criterio di intervenire con rigorosa misura sulle questioni che di volta in volta si affacciano nel dibattito politico-istituzionale. Sempre più spesso per rintuzzare (indirettamente ma efficacemente) prese di posizioni e dichiarazioni improvvide o, peggio ancora, estranee all’ordinamento giuridico. Il presidente si è assunto il delicato onere di una sorta di «controcanto» alle intemerate di alcuni protagonisti dell’azione di governo, utilizzando costantemente uno stile in grado di evitare che si possa sostenere che stia debordando dalle sue attribuzioni.
Rispetto al paziente lavoro di ricucitura istituzionale (e, di riflesso, della stabilità politica) svolto dal capo dello Stato nemmeno un cieco potrebbe far finta di non vedere; così come un sordo non potrebbe sostenere di non aver udito. Eppure, di fronte ai ripetuti e motivati richiami del Colle, i Palazzi (Palazzo Chigi, Palazzo Madama e Montecitorio) sembrano sordi e ciechi, mostrando una perdurante indifferenza che maschera a malapena la lotta di potere tra le fazioni della maggioranza. Salvini si muove come la mastodontica nave che giorni fa ha speronato un traghetto nel canale della Giudecca. Pesante e disinvoltamente ignaro dei danni che può produrre.
Di Maio, dal canto suo, si è rimpicciolito, rifugiandosi nella piattaforma Rousseau, dalla quale ha ottenuto una riconferma tanto plebiscitaria quanto inservibile. Il presidente del Consiglio, con due vice che non si parlano e non si incontrano, ha imboccato una strada nuova, rivolgendosi direttamente al «popolo» per esprimere il suo punto di vista, delineando gli scenari futuri, ma ancor più il «suo» futuro. Nel suo intervento Conte ha avuto come interlocutore assente Salvini, che da tempo appare e si comporta come il vero leader dell’esecutivo. Una sorta di «premier ombra» impersonato da uno dei ministri più potenti del governo. Le anomalie dei «criteri e dei modi di governo», peraltro, non si esauriscono qui. La conferenza stampa del presidente del Consiglio è un ennesimo inedito. Nei passati decenni si lamentava a ragione la prassi delle crisi «extraparlamentari», allorché il premier si recava al Quirinale per dimettersi senza un preventivo confronto con le Camere. Oggi abbiamo anche l’ipotesi di una crisi «extragovernativa», perché le decisioni (o, almeno, il loro annuncio) non si prendono all’interno dell’esecutivo ma sui media. Con un presidente del Consiglio che parla aspettando che i suoi vice rispondano sui social.
In realtà, come emerge dalle cronache spicciole di queste ultime settimane, il governo non è più d’accordo su nulla, diviso su qualunque questione, ma capace ogni volta di rimettere insieme i cocci di una contesa inesauribile. La soluzione, ieri pomeriggio, del decreto sblocca cantieri ne è una prova ulteriore. L’ultimo, disperato, appiglio, che viene utilizzato ogni volta come una bandiera stracciata, è il contratto di governo. Null’altro ormai che un simulacro. Il potere per il potere. Tra la due forze che compongono l’esecutivo c’è, peraltro, una differenza che diventa sempre più palese e che alimenta la crescita del differenziale tra Lega e M5S. Salvini ha capito dove e come pescare nel magma del risentimento sociale e delle paure dei cittadini. Su questa strada si è mosso con una determinazione feroce, portando a rimorchio l’alleato di governo. Di Maio, all’opposto, fermo nella convinzione che bastasse evocare l’assalto al «palazzo d’inverno» per ottenere consensi e restare in sella, ha bruciato via via il patrimonio di consensi ottenuto nelle elezioni dello scorso anno. Ci sarebbe da fare moltissimo, ma il governo neppur si muove.
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